Camerun: la visita del card. Parolin. Mons. Nkea (arcivescovo Bamenda), “ci mancano molte cose, ma non la fede”

“A noi gente di Bamenda, mancano molte cose, l’unica cosa che non ci manca è la fede”. Lo ha sottolineato mons. Andrew Nkea Fuanya, arcivescovo dell’arcidiocesi metropolitana di Bamenda, in Camerun, nel saluto al cardinale segretario di Stato vaticano Pietro Parolin, facendosi interprete del sentimento di molte persone che, nonostante le intimidazioni diffuse, sono accorse per pregare insieme per la pace.  È quanto si legge in un articolo pubblicato oggi da L’Osservatore Romano sulla visita in Camerun del  card. Pietro Parolin, “prima autorità straniera ad incontrare le popolazioni delle regioni nord-ovest e sud-ovest del Camerun dall’inizio della crisi nel 2016”.
“Da più parti – riferisce L’Osservatore Romano – sono state offerte interpretazioni del blocco imposto dai separatisti – la delegazione della Santa Sede ha attraversato una città dove tutte le attività erano sospese e le strade completamente deserte – forse cercato per mostrare al card. Parolin in quali condizioni la popolazione è costretta a vivere, più che per inviare un messaggio di protesta alla Chiesa”. L’arcivescovo Nkea, infatti, ha salutato il coraggio delle migliaia di persone che si sono presentate per assistere alla solenne celebrazione di domenica 31 gennaio. “Siamo felici perché, in questo tempo di crisi, ti vediamo come un messaggero di pace”, ha sottolineato il presule, rivolgendosi al segretario di Stato vaticano: “Ti vediamo come un ambasciatore della riconciliazione. Ti vediamo come un promotore di giustizia. Vediamo in te la presenza dello stesso Santo Padre Papa Francesco in mezzo a noi”. La visita del card. Parolin, ricorda il quotidiano vaticano, “si svolge in un momento in cui le popolazioni delle Regioni di Nord Ovest e Sud Ovest del Camerun vedono molte sofferenze per una situazione che non hanno creato: migliaia sono sfollati interni o sono fuggiti come rifugiati. In molte occasioni le aziende sono state chiuse e per circa quattro anni ai bambini e ai giovani non è stato permesso di andare a scuola”. Come ha detto mons. Nkea, “i bambini erano usati come esca per motivi politici e per la lotta. Molti sacerdoti, religiosi, vescovi e laici di questa provincia sono stati picchiati, molestati o addirittura uccisi nel conflitto. Eppure, la Chiesa continua a portare il messaggio del Vangelo come luce di speranza a un popolo traumatizzato”.

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