Papa Francesco: “essere una Chiesa inquieta”, “prendere sul serio la vulnerabilità”. Bene “gruppi sinodali nelle carceri”. “Il grande nemico è la paura”

foto SIR/Marco Calvarese

“Essere una Chiesa ‘inquieta’ nelle inquietudini del nostro tempo”. È l’ultima consegna del Papa ai  partecipanti all’Incontro nazionale dei Referenti diocesani del Cammino Sinodale Italiano, ricevuti in udienza in Aula Paolo VI nella giornata di chiusura dell’Assemblea dei vescovi italiani. “Siamo chiamati a raccogliere le inquietudini della storia e a lasciarcene interrogare, a portarle davanti a Dio, a immergerle nella Pasqua di Cristo”, la proposta di Francesco: “Formare dei gruppi sinodali nelle carceri vuol dire mettersi in ascolto di un’umanità ferita, ma, nel contempo, bisognosa di redenzione. Per un detenuto, scontare la pena può diventare occasione per fare esperienza del volto misericordioso di Dio, e così cominciare una vita nuova”. “E la comunità cristiana è provocata a uscire dai pregiudizi, a mettersi in ricerca di coloro che provengono da anni di detenzione, per incontrarli, per ascoltare la loro testimonianza, e spezzare con loro il pane della Parola di Dio”, l’invito del Papa: “Questo è un esempio di inquietudine buona, che voi mi avete dato; e potrei citarne tanti altri: esperienze di una Chiesa che accoglie le sfide del nostro tempo, che sa uscire verso tutti per annunciare la gioia del Vangelo”. L’esempio citato dal Papa è quello di don Primo Mazzolari, che scriveva: “Che contrasto quando la nostra vita spegne la vita delle anime! Preti che sono soffocatori di vita. Invece di accendere l’eternità, spegniamo la vita”. “Siamo inviati non per spegnere, ma per accendere i cuori dei nostri fratelli e sorelle, e per lasciarci rischiarare a nostra volta dai bagliori delle loro coscienze che cercano la verità”, l’esortazione di Francesco, che ha rivelato: “Mi ha colpito, a questo proposito, la domanda del cappellano di un carcere italiano, che mi chiedeva come far sì che l’esperienza sinodale vissuta in una casa circondariale possa poi trovare un seguito di accoglienza nelle comunità”. “Sono in Sinodo permanente, questi cappellani”, ha aggiunto a braccio: “il grande nemico di questo cammino è la paura”. Di qui l’omaggio alla Chiesa italiana, nella prima fase del Cammino sinodale che si è appena conclusa, per la scelta di formare gruppi sinodali anche nelle carceri.  “A me piacerebbe che il Sinodo prendesse sul serio questa parola: la vulnerabilità”, ha detto a braccio: “il grande nemico di questo cammino è la paura”. “Il Sinodo non lo facciamo noi: andrà avanti se noi saremo aperti al Sinodo, è lui il protagonista”, ha concluso ancora fuori testo.

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