Giornata migrante e rifugiato: Caritas Rimini, le testimonianze di chi è arrivato con i corridoi umanitari

Il 26 settembre si è tenuta la 107ª Giornata mondiale del migrante e del rifugiato. Guardando alla cronaca della drammatica crisi in Afghanistan, la Caritas di Rimini ha deciso di dedicare questa ricorrenza al tema dei corridoi umanitari, attivi da diversi anni anche nel territorio riminese.
Aschalew e Yacine vivono dal 23 giugno presso Casa Laudato si’, una struttura presente a Rimini dal 2018 allo scopo di ospitare richiedenti asilo, e sono arrivati in Italia e a Rimini attraverso un corridoio umanitario dopo aver comunque camminato settimane nel deserto, addirittura vedendo compagni di viaggio non farcela. “Per noi è importante far passare questo messaggio: i corridoi umanitari provano concretamente che le persone costrette a lasciare il proprio Paese di origine possono arrivare in Europa in sicurezza e legalmente, evitando di indebitarsi con la criminalità organizzata e di rischiare la propria vita in viaggi pericolosi e senza certezza della meta. Anche se al momento la percentuale di persone che arriva con questa modalità è, purtroppo, molto bassa”, spiegano.
I corridoi umanitari funzionano, ma, senza un coinvolgimento dell’intera comunità, resta estremamente complesso poterli sfruttare al massimo delle loro potenzialità, consentendo a tante persone di potersi salvare e, allo stesso tempo, indebolendo il business criminale delle organizzazioni che speculano sulla pelle dei profughi. “Questo progetto, per funzionare appieno, deve coinvolgere tutta la comunità – spiega Fethi Atakol, operatore dell’accoglienza della cooperativa Madonna della Carità, legata alla Caritas di Rimini –. Deve sensibilizzare, smobilitare le parrocchie e le diocesi e tutto il mondo cattolico e non solo. Devono essere le Caritas territoriali, gli scout, i gruppi giovanili e le famiglie ad essere coinvolte sia conoscendo questo progetto, conoscendo le vite, le storie e i bisogni di queste persone, sia partecipando attivamente. Anche perché molti bisogni dei ragazzi accolti sono gli stessi dei loro coetanei qui in Italia. Vogliamo fargli sentire che c’è una comunità attorno a loro, fatta di relazioni e attenzioni”.

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