Ucraina: Azione contro la fame, “a rischio sicurezza alimentare nel sud del mondo”. “Aiuto umanitario e cessazione ostilità, ma occorre rafforzare sovranità alimentare”

A quasi tre mesi dall’inizio della guerra in Ucraina e dall’avvio delle sue missioni in Moldavia, Polonia e Romania, Azione contro la fame (organizzazione umanitaria internazionale impegnata nella lotta contro la fame e la malnutrizione infantile) ha redatto un documento che contiene una prima analisi dell’impatto del conflitto in corso sulla sicurezza alimentare nel Sud del mondo.
L’organizzazione denuncia, innanzitutto, un incremento senza precedenti dei prezzi relativi ai beni di prima necessità, con particolare riferimento al grano. Molte aree del pianeta, oggi, dipendono direttamente dalle importazioni da Russia e Ucraina per soddisfare il proprio fabbisogno: Nord Africa (Egitto, Libia, Algeria), Medio Oriente (Yemen, Libano, Iraq) e, in misura minore, Africa subsahariana (Nigeria, Sudan, Senegal) e Asia (Bangladesh). La guerra in corso non ha fatto altro che impattare sull’acquisto della materia prima: del resto, Russia e Ucraina, nel 2021, erano tra i primi cinque Paesi esportatori.
“Questa guerra – ha dichiarato Simone Garroni, direttore generale di Azione contro la fame – conferma, ancora una volta, la fragilità dei sistemi alimentari e l’inadeguatezza del modello che fa riferimento all’industria dell’agribusiness”. Di qui la proposta dell’organizzazione: “un aiuto umanitario capace di soddisfare, sin da subito, i bisogni delle popolazioni e di scongiurare una carestia globale; la cessazione immediata delle ostilità in Ucraina; un impegno da parte della comunità internazionale a impedire l’uso della fame come arma di guerra (risoluzione 2417 delle Nazioni unite)”. Ma non solo: l’organizzazione ritiene sia giunto il momento di rafforzare la sovranità alimentare ed economica degli Stati attraverso la trasformazione dei sistemi alimentari. Il punto di partenza è, oggi, “rappresentato dall’agroecologia contadina che, grazie a una produzione agricola localizzata e fatta di colture alimentari, consentirebbe alle aree più vulnerabili del pianeta di ridurre la dipendenza dai gruppi agroindustriali multinazionali”.

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