Processo in Vaticano: card. Becciu, “mai voluto indurre mons. Perlasca a dire il falso”

“Contrariamente a quanto erroneamente ipotizzato dall’accusa, mai ho voluto indurre mons. Perlasca a dire il falso, e nego vibratamente di aver avuto un atteggiamento perentorio con il vescovo, al quale non ho certo attribuito un ruolo intimidatorio in pregiudizio di mons. Perlasca”. E’ un passo della lunga dichiarazione spontanea, letta in circa due ore e mezza dal card. Angelo Becciu, nel corso della quattordicesima udienza del processo in corso in Vaticano per la vicenda legata agli investimenti finanziari della segreteria di Stato a Londra. Riguardo al colloquio avuto con mons. Cantoni, vescovo di Como, “trasfigurato dall’accusa addirittura in un tentativo di subornazione”, Becciu ha precisato di aver avuto un colloquio con mons. Oscar Cantoni, allora vescovo di Como, “mia antica conoscenza, ma per una ragione del tutto diversa da quella ipotizzata dall’accusa”: “Nel corso delle indagini – ha riferito –  diversi giornali riferivano che mons. Perlasca stava rendendo false dichiarazioni sul mio conto; e addirittura — fatto ai miei occhi ben più grave e sommamente intollerabile — tali falsità, secondo i quotidiani dell’epoca, sarebbero state trasfuse in lettere indirizzate da mons. Perlasca anche al Santo Padre. Tale prospettiva era per me — un cardinale che ha giurato fedeltà al Papa — indicibile: per un sacerdote, dire il falso alla giustizia o, ancor peggio, al Santo Padre, è un peccato, ben prima ancora che un reato! Non tolleravo che si dicesse il falso sul mio conto, ed ancor meno che si mentisse al Santo Padre; d’altro canto, non avrei voluto nuocere oltre misura ad un uomo, mons. Perlasca, che viveva un periodo di grande disperazione, spinta fino all’orlo del suicidio. Pertanto, l’unica via che ho ritenuto in quel momento percorribile è stata quella di confidarmi con il vescovo di Como, esprimendogli tutto il mio dispiacere e il mio dolore nell’apprendere che mons. Perlasca raccontava falsità, dicendogli che se veramente Perlasca aveva detto quanto leggevo sui giornali, sarei stato costretto, con profondo dolore, a tutelare la mia onestà, e quindi, mio malgrado, denunciarlo per calunnia. Mi confidai con il vescovo perché conosceva mons. Perlasca e quindi poteva comprendere cosa gli stesse accadendo e, sperabilmente, aiutarlo così a riprendersi, a ritrovarsi e a comprendere che non era giusto dire delle falsità, men che meno al Santo Padre. Quindi, contrariamente a quanto erroneamente ipotizzato dall’accusa, mai ho voluto indurre mons. Perlasca a dire il falso, e nego vibratamente di aver avuto un atteggiamento perentorio con il vescovo, al quale non ho certo attribuito un ruolo intimidatorio in pregiudizio di mons. Perlasca”.

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