Caritas internationalis: dalle Filippine al Venezuela, le tante crisi dimenticate. A Roma 120 rappresentanti di 64 organizzazioni nazionali

La conferenza stampa al convegno di Caritas internationalis a Roma - foto: SIR

Dalle Filippine al Venezuela, passando per Gibuti e la Somalia, l’Armenia, la Siria. Sono solo alcune delle tante crisi dimenticate nel mondo, a causa dei cambiamenti climatici, della siccità e carestia, dei conflitti, che sono stati al centro dell’attenzione oggi durante una conferenza stampa nell’ambito della conferenza di Caritas internationalis che si conclude oggi a Roma. La due giorni ha riunito 120 rappresentanti di 64 organizzazioni nazionali e 7 segretariati regionali da tutto il mondo. In totale sono 162 le organizzazioni associate a Caritas internationalis, che operano in 200 Paesi e territori. Si tratta del primo grande evento internazionale in presenza dopo lo stop dovuto alla pandemia, che ruota intorno al tema centrale: “Insieme, servire con amore – Rafforzare la nostra cooperazione fraterna”. “Sono regioni che stanno attraversando crisi importanti – ha spiegato Moira Monacelli, di Caritas internationalis -. Qui vogliamo analizzare il presente per guardare al futuro, con l’orizzonte al 2030. Sono tutte crisi multidimensionali. Ci sono popolazioni in estrema povertà che hanno ingenti bisogni. Bisogna lavorare insieme per rispondere alle necessità delle comunità locali”.
Nelle Filippine, ad esempio, il Paese classificato quest’anno a più alto rischio di disastri ambientali, almeno 10 milioni di persone sono stati colpiti da tifoni recenti e circa 800.000 famiglie non sono in grado di ricostruire le case distrutte. Caritas Filippine sta quindi provvedendo a creare rifugi provvisori e distribuire cibo, medicine e beni non alimentari. In Somalia, come in Kenya ed Etiopia, il problema è opposto, ossia la siccità che provoca la fame, unita a instabilità politica da 31 anni e insicurezza a causa della presenza degli estremisti islamici di Al Shabaab e dell’Isis. “Su 15 milioni di abitanti – ha raccontato monsignor Giorgio Bertin, presidente di Caritas Gibuti, che opera anche in Somalia – circa 7 milioni riescono a malapena ad avere un pasto al giorno. Ci sono 3 milioni e mezzo di sfollati interni e più di 800.000 rifugiati in Kenya, Etiopia, Gibuti e Yemen. Alcune zone rurali sono ingovernabili e irraggiungibili dai soccorsi. Ho l’impressione che il popolo somalo serva da ostaggio per altre mire di carattere ideologico e politico”.
In Armenia la comunità cristiana si sente “da secoli perseguitata per la sua religione – ha detto monsignor Raphael Minassian, presidente di Caritas Armenia, ricordando anche il conflitto nella regione del Nagorno-Karabakh, contesa con gli azeri – ma non abbiamo avuto risonanza e aiuti se non dalla rete Caritas”. I responsabili di Caritas Siria hanno ricordato l’embargo totale che sta affamando il Paese già provato da 11 anni di guerra, con l’80% delle famiglie sotto la soglia della povertà. Altre emergenze sono il caro prezzi e la mancanza di petrolio e cibo, l’emigrazione dei giovani, 1,2 milioni di bambini che non vanno a scuola e 6 milioni di sfollati interni che hanno bisogno di aiuti. Anche il Venezuela fa i conti da tempo con una crisi politica ed economica, con l’iperinflazione scesa al 125% ma con la classe media impoverita, 10 milioni di persone che hanno bisogno di aiuti umanitari, 6 milioni di venezuelani emigrati (tra cui giovani e professionisti) e 700.000 persone che hanno intenzione di fuggire dal Paese il prossimo anno.

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