Fine vita: mons. Paglia (Pav), “curare è accompagnare a vivere umanamente anche la malattia e la morte”

“L’accompagnamento ad accogliere la necessità di vivere umanamente anche la malattia e la morte” è la sfida “che deve accomunarci”. Lo ha detto mons. Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la vita, nel discorso tenuto a Punta Cana (Puerto Rico) al Symposium “Le sfide dell’assistenza sanitaria nel mondo di oggi” dell’organizzazione sanitaria Somos. “Gli uomini e le donne dei quali ci sentiamo impegnati a prenderci cura”, ha esordito, “sono creature mortali. E da questo non le guariremo. Eppure, nulla è più universalmente qualificante e commovente della nostra quotidiana lotta contro i segni dolorosi della fragilità che annuncia la nostra condizione mortale. Noi lottiamo strenuamente perché non sia l’avvilimento della morte a decidere il valore della vita. Lottiamo, perché non sia la malattia a decidere l’utilità della nostra vita, il valore della nostra persona, la verità dei nostri affetti”. “Il lavoro della cura – ha spiegato il presidente della Pav – è il nostro impegno a rendere umana” l’accettazione della morte. “Noi ci rifiutiamo di fare il lavoro sporco della morte: anche solo simbolicamente – ha rimarcato –. L’atto della cura accetterà – e aiuterà ad accettare – il proprio limite invalicabile: con tutta la delicatezza dell’amore, con tutto il rispetto per la persona, con tutta la forza della dedizione, di cui saremo capaci”.
“È questa la sfida, difficilissima e umanissima, che deve accomunarci. L’accompagnamento ad accogliere la necessità di vivere umanamente anche la malattia e la morte – ha concluso l’arcivescovo –, senza perdere l’amore che lotta contro il suo avvilimento, è l’obiettivo della ‘prossimità responsabile’ alla quale tutti, come essere umani, siamo chiamati”.

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