Ilva Taranto: mons. Santoro (Taranto), “non possiamo demandare alla giustizia una questione che è meramente politica”

(Foto Siciliani-Gennari/SIR)

“Il pronunciamento del Consiglio di Stato conferma ancora una volta che non possiamo demandare alla giustizia una questione che è meramente politica”. L’arcivescovo della diocesi di Taranto, mons. Filippo Santoro, interviene sulla sentenza del Consiglio di Stato che ieri ha annullato il pronunciamento del Tar, che aveva dato ragione al sindaco del Comune di Taranto, Rinaldo Melucci, che chiedeva la chiusura dell’area a caldo dello stabilimento di Taranto, perché inquinante. “I dati che ci descrivono la grave situazione ambientale del territorio ionico e, ancor più, gli effetti gravemente nocivi che queste hanno avuto e hanno sulla salute dei tarantini, ancor più su quella dei bambini, sono ormai di dominio pubblico e incontestabili, e sono molto preoccupanti: non possiamo restare a guardare né ad aspettare soluzioni fantasiose. Abbiamo bisogno – prosegue mons. Santoro – che si dia finalmente piena attuazione al piano per le bonifiche e che la valutazione del danno sanitario vincoli la produzione che deve assolutamente emanciparsi dall’uso del carbone. È necessario che le parti in causa lavorino finalmente nell’unica direzione auspicabile che è quella del pieno rispetto dei lavoratori e della salute di tutti i cittadini di Taranto. Assumere immediatamente tutte le azioni possibili volte a contenere le emissioni nocive e intraprendere la strada per arrivare alla produzione di acciaio tramite forni elettrici prima e a idrogeno poi, è la scommessa che si deve vincere non nei tribunali ma nei luoghi deputati a determinare il futuro del Paese”. “Nel frattempo – prosegue il presule – vanno utilizzate tutte le risorse che l’Europa ci mette a disposizione con il Next generation Eu: abbiamo la possibilità di investirle su un nuovo modello di sviluppo che produca, particolarmente nelle zone più ferite del Sud, una rinascita, un rilancio del cammino, un rilancio della vita, non più pensato in termini di sfruttamento dell’ambiente, di sfruttamento dissennato delle risorse, come se queste risorse fossero infinite e, soprattutto, rispettoso della dignità del lavoro e dei lavoratori”.

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