Diocesi: card. Betori (Firenze), “l’auspicata ripartenza assuma le forme di un vero rinascimento”

“L’auspicata ripartenza” per la comunità fiorentina “deve poter assumere le forme di un vero rinascimento”. Lo ha detto, oggi, il card. Giuseppe Betori, arcivescovo di Firenze, nell’omelia della messa, celebrata nella cattedrale di Santa Maria del Fiore, per la festa del santo patrono, san Giovanni Battista. Infatti, ha spiegato il porporato, “non si tratta propriamente di ripartire, come se la strada possa essere quella che già percorrevamo prima che la pandemia ci colpisse e questa ci abbia semplicemente fermati. Guai a pensare che la pandemia possa essere considerata una crisi passeggera e tutto possa ricominciare come prima. Dobbiamo prendere coscienza che la pandemia è stato un grande vaglio, da cui è bene trarre le cose che contano: prima fra tutte la consapevolezza del limite, qualcosa che appartiene per natura alla condizione umana; non meno importante, la scoperta che da soli non ci si salva, ma si può uscire da questa e da ogni crisi solo con uno sguardo e una concreta volontà di condivisione”. Oggi “si impone per noi una rinascita, una nuova nascita, purché sia sul modello di quella del Battista: una nascita segnata da un nome, cioè un’identità, e da un progetto, e questo nella forma del dono e del servizio”. Un’identità, anzitutto, ha precisato il cardinale, che “ci permetta di rinverdire le nostre radici più autentiche, quelle in forza delle quali Firenze nei secoli ha saputo unire l’operosità del fare, l’intelligenza dei saperi, il genio delle arti, la cura dei deboli, coltivando una visione piena dell’umano, con uno sguardo largo sul mondo senza rinunciare alla identità dei luoghi, con il cuore aperto verso tutto ciò che può favorire l’incontro e il dialogo”. Per questo “siamo felici di accogliere nei primi mesi del prossimo anno l’incontro di vescovi e di sindaci delle città del Mediterraneo ‘frontiera di pace’”.
Il nodo da sciogliere per una rinascita è “l’abbandono della logica degli interessi, della ricerca di ciò che mi giova, come singolo o come ceto sociale, per una conversione” a “un ideale superiore che va oltre la stessa ricerca di convergenza degli interessi – un processo, questo, che alla fine esclude sempre qualcuno –, per attendere davvero alla costruzione di una convivenza di pace, di proporzione, di elevazione, di umanesimo plenario”.
Di qui l’invito: “Ricomponiamo questa immagine di Firenze, senza aver timore di perdere qualche guadagno per conquistare una più compiuta identità delle persone, delle famiglie, delle aggregazioni sociali, dei luoghi”. Anche l'”ideale del servizio agli altri, soprattutto ai più fragili è parte essenziale della nostra storia e della nostra identità. Manteniamolo vivo, favoriamone le espressioni, coordiniamone le presenze, apriamolo a sempre nuove necessità. La creatività nel dare valore al lavoro, nell’intelligenza delle cose e nella edificazione del bello si accompagni a quella nella presa in carico dei deboli e dei poveri”.

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