Via Crucis: tredicesima stazione, “il carcere continua a seppellire uomini vivi”

foto SIR/Marco Calvarese

“Le persone detenute sono, da sempre, i miei maestri. Da sessant’anni entro nelle carceri come frate volontario e ho sempre benedetto il giorno in cui, per la prima volta, ho incontrato questo mondo nascosto”. Chi ha scritto la tredicesima stazione della Via Crucis – presieduta dal Papa sul sagrato della basilica di San Pietro – vuol fare un omaggio a chi è recluso: “In quegli sguardi ho compreso con chiarezza che avrei potuto esserci io al posto loro, qualora la mia vita avesse preso una direzione diversa”. “Noi cristiani cadiamo spesso nella lusinga di sentirci migliori degli altri, come se essere nella condizione di poterci occupare dei poveri ci permettesse una superiorità tale da ergerci a giudici degli altri, condannandoli tutte le volte che vogliamo, senza nessun appello”, il mea culpa. Cristo, invece, “nella sua vita, ha scelto e voluto stare con gli ultimi: ha percorso le periferie dimenticate del mondo in mezzo a ladri, lebbrosi, prostitute, imbroglioni. Ha voluto condividere miseria, solitudine, turbamento”. “Il carcere continua a seppellire uomini vivi”, la denuncia: “Sono storie che non vuole più nessuno. A me Cristo ogni volta ripete: ‘Continua, non fermarti. Prendili in braccio ancora’. Non posso non ascoltarlo: anche dentro al peggiore degli uomini c’è sempre Lui, per quanto infangato sia il suo ricordo”.

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