Libano: secondo incontro interreligioso tra le massime autorità religiose nella base militare italiana

(foto Omi)

Si è svolto a Shama in Libano, nella base militare “Millevoi” del Comando del settore ovest di Unifil gestita da militari italiani, l’incontro interreligioso in forma di 2° Convegno, dopo quello del 6 luglio scorso, dal titolo “Maria ed i frutti del dialogo. La convivialità delle differenze”, che ha raccolto le massime autorità religiose regionali in una tavola rotonda sul tema dell’ospitalità come habitus non negoziabile, alla base della spiritualità delle fedi abramitiche. Sono intervenuti mons. Giovanni Becchierri, primo segretario della Nunziatura della Santa Sede in Libano, il Muftì sciita di Tiro Jabal Amel Hassan Abdallah, il vescovo cristiano maronita di Tiro, mons. Charbel Abdallah, padre Marios Khairallah come delegato del vescovo cristiano melchita di Tiro, padre Nikoula Bassil come delegato del vescovo greco-ortodosso di Tiro, padre Toufic, vicario episcopale per i cristiani di rito latino nel sud del Libano, e lo sceicco sunnita Issam Kassab. “Costruire il dialogo, coscienti della diversità che unisce: è questa la sfida e la speranza anche qui in Libano, un Paese di poco più di 6 milioni di abitanti attraversato da 18 credi tra musulmani sciiti, sunniti e alawiti, cristiani maroniti, melchiti, latini, armeni cattolici, greco-ortodossi e protestanti, insieme a ebrei, drusi, caldei, assiri, copti”, ha affermati il cappellano militare don Marco Minin, presente assieme a militari, civili ed una rappresentanza di cappellani militari delle nazioni operanti sotto le insegne Unifil, all’incontro interreligioso durante il quale ognuno degli intervenuti ha presentato l’impegno della propria comunità di appartenenza e la particolare prospettiva con la quale guardare a quell’attitudine all’ospitalità, grazie alla quale i libanesi hanno saputo costruire un unicum nella storia politica del Medio Oriente, da cui trarre ispirazione. “La nostra comune ricerca – ha aggiunto don Minin – ha cercato di realizzare l’incontro tra le differenze che lo straniero porta con sé, senza limitare le nostre identità, consapevoli che l’ospitalità richiede pluralità, non fusione”.

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