Papa a Cipro: preghiera ecumenica. Quattro giovani migranti raccontano storie di ferite e sogni. “Cerchiamo un luogo dove possiamo osare sperare”

(Foto Vatican Media/SIR)

“Siamo molte cose, siamo tutti diversi, ma siamo anche parte dello stesso noi, qui a Cipro. Tutti noi siamo vulnerabili all’odio e abbiamo bisogno di amore. Siamo viaggiatori che lottano per andare avanti con fede, ogni giorno, alla ricerca di luce e calore. Siamo in cammino ed è più facile se lo percorriamo insieme. Nessuno di noi vuole essere da solo”. È Thamara, dello Sri Lanka, a concludere con queste parole la carrellata delle testimonianze date oggi pomeriggio al Papa da 4 migranti durante la preghiera ecumenica con i migranti che si è svolta nella chiesa di Santa Croce di Nicosia. “Spesso – ha detto la giovane – mi viene chiesto chi sono”. “Perché sei qui, qual è il tuo status, pensi di rimanere, dove andrai?”. Sono “domande come schiaffi”. “Chi sono?”, chiedono e vogliono sentirsi dire, rifugiato, migrante, richiedente asilo. In realtà “quello che vorrei scrivere è persona, fratello, sorella, amica, credente, vicino. Inevitabilmente tutti noi, ci chiediamo chi siamo, ma io sono molte cose”. Maccolins viene dal Camerun. Racconta al Papa che nel corso della sua vita è stato “ferito dall’odio” e, dice, “l’odio una volta sperimentato, non si può dimenticare. Ti cambia, ci cambia”. “Sono vittima anche della mancanza di amore – aggiunge – che mi fa sentire meno degli altri, non desiderato, un peso”. Ha preso poi la parola Rozh, iracheno che si definisce come “una persona in viaggio”. “Sono dovuto fuggire dalla violenza, dalle bombe, dalla fame e dal dolore. Sono stato costretto a percorrere strade impolverate, nascosto sui camion nelle navi, ingannato, sfruttato, dimenticato, negato, costretto a intraprendere questo viaggio” con la meta oggi di raggiungere “un luogo di sicurezza che possa garantire libertà delle scelte, dove posso dare e ricevere amore, dove posso mettere in pratica la mia fede, dove posso osare sperare”. E infine Mariamie, della Repubblica democratica del Congo, ha raccontato al Papa i suoi sogni: “Sogno un mondo dove nessuno è obbligato a combattere, dove nessuno è stato tolto dal letto, lasciando indietro i propri giochi, abbandonando tutto per scappare. Sogno la pace nel mondo”.

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