
“Comunicare ha a che fare con amare. Chi è chiamato a questo alto sevizio culturale, carico di umanità, ha nelle radici della sua vocazione il concetto biblico di conoscenza, che è amore per ciò che si è e per ciò che si dona. I presupposti del dono della comunicazione hanno la loro origine in quella intelligenza affettiva che mette insieme i fatti con il cuore, le interpretazioni con la verità, la conoscenza con la carità”. Lo ha detto ieri mons. Davide Carbonaro, arcivescovo di Potenza-Muro Lucano-Marsico Nuovo, nell’omelia della messa per il Giubileo dei comunicatori e giornalisti della Regione Basilicata.
Questa “responsabilità personale e collettiva verso il prossimo”, orientata al Vangelo, mette in guardia, come sottolineava Papa Francesco nel suo messaggio per la 59ª Giornata delle comunicazioni sociali, dai rischi segnalati in questo tempo complesso in: “deformazioni”; “polarizzazioni”; “poteri di controllo”. Essere “comunicatori di speranza” garantisce “una partenza con il piede giusto, per divenire pellegrini dentro i fatti che raccontano l’uomo e la società del nostro tempo”. Come ribadito in questi giorni da Papa Leone XIV, “occorre disarmare le parole e persino il cuore se si vuole servire la verità. D’altronde la comunicazione in balia delle scelte digitali e di AI, rischia di rispondere a quelle ‘logiche di mercato’ che tendono a generare nemici e a misconoscere la dignità dell’altro. Così forme di bullismo mediatico e comunicazioni pregiudiziali, offuscano la speranza di chi trasmette e spengono quella di chi ascolta”. Oggi più che mai “quanti operano nell’ambito della comunicazione hanno bisogno di farsi ‘compagni di strada’, coltivando relazioni amiche, generando empatia, prendendosi cura dell’uomo e della nostra casa comune”.
Per mons. Carbonaro, “la delicata tessitura della pace, il suo artigianato, comincia proprio dalla parola che è veicolo dell’umano e per noi cristiani del divino. Ma questa pace noi la riceviamo in dono da colui che ne è l’autore. La sera prima di morire, nel cenacolo, Gesù indirizza i suoi discepoli verso questo dono, che servirà a tenere la loro unità, nonostante il dramma della dispersione e della divisione. ‘Vi lascio la pace vi do la mia pace, non come la dà il mondo io la dono a voi’. L’insistenza sulla parola dono in quel contesto, richiama il dono della vita, il modo con cui l’amore vero sostiene le cose”. Il presule, ricordando le parole del Papa nella messa di inizio del ministero petrino e cioè che “se potessimo trasmettere questo amore, le situazioni odierne, cariche di odio e di violenza, cambierebbero in un istante”, ha affermato: “Questo ci fa comprendere come spetta a noi rispondere al dono della pace che viene dall’alto e non è figlia dei compromessi che vengono dal mondo”.