Processo in Vaticano: Cassinis Righini (revisore), “Non era quello il modo di gestire i fondi dell’Obolo di San Pietro”

“Non era quello il modo di gestire i fondi dell’Obolo”. Lo ha detto Alessandro Cassinis Righini, attuale revisore generale della Santa Sede e dello Stato della Città del Vaticano, sentito come teste durante la 27ma udienza del processo in corso in Vaticano sugli investimenti finanziari della Segreteria di Stato a Londra. Rispondendo ad una sollecitazione del Promotore di giustizia aggiunto, Roberto Zannotti, Cassinis – ha riferito il “pool” di giornalisti ammessi a seguire l’udienza, nell’Aula polifunzionale di Musei vaticani – si è detto certo che per l’acquisto dell’immobile di Sloane Avenue fossero stati utilizzati i fondi dell’Obolo di San Pietro, destinati all’attività caritativa del Papa nel mondo. Stando ad un Report stilato dalla stessa Segreteria di Stato, il patrimonio totale della stessa, all’epoca dei fatti, ammontava a 928 milioni di euro, ha riferito il revisore generale durante l’interrogatorio delle parti civili, sostenendo che, da quanto gli risulta, “il Papa non ne era al corrente. Credo ne fossero al corrente il Sostituto e il cardinale Parolin”.  A proposito di eventuali revisioni esterne chieste dalla Segreteria di Stato, Cassinis Righini ha ricordato che il cardinale Pell, tra fine 2015 e inizio 2016, aveva dato incarico ad una società esterna, ma che il card. Angelo Becciu, all’epoca sostituto alla Segreteria di Stato, si era opposto a questa prassi.  “Noi siamo abitati a controllare, non ad essere controllati”, avrebbe affermato il cardinale. “Nei bilanci, meno si scrive e meglio è”, gli avrebbe fatto eco mons. Alberto Perlasca, in base a quanto ha riferito il revisore generale. Poi l’interrogatorio del Pm aggiunto si è soffermato sulla “notitia criminis”, vale a dire l’acquisto del Palazzo di Sloan Avenue a Londra. Nell’estate del 2018, ha reso noto Cassinis, il Papa ha dato incarico di una revisione specifica dell’attività della Segreteria di Stato, per poterla consegnare al nuovo Sostituto, mons. Peña Parra: “una fotografia dello stato delle cose”, ha spiegato, sottolineando che si trattava di una prassi abituale in ogni tipo di avvicendamento. “Nel settembre 2018 –  ha resto noto Cassinis Righini – apparvero immediatamente cose strane, che divennero oggetto della mia segnalazione. Mancavano le perizie indipendenti sul valore dell’immobile, le relazioni sui rapporti con le banche, i bilanci: pur essendo stati più volte chiesti, non ci venivano mai forniti. Soprattutto era un problema di competenza: la contabilità era un disastro, non si capiva assolutamente nulla”. In particolare, ha aggiunto il revisore, mancava il “contratto di pegno” con il Credit Swisse, con cui la Segretaria di Stato dava in pegno parte del suo patrimonio per avere le risorse per procedere all’acquisto dell’immobile. A detta di Righini, la cifra impegnata dalla Santa Sede per l’operazione ammontava a 564 milioni di euro: “Si trattava di attività non liquide e particolarmente onerose, anche con personalità esterne in conflitto di interessi, come Enrico Crasso”, ha commentato. Sulla modalità di gestione dei fondi in Segreteria di Stato, il revisore generale ha affermato: “Concentravano il rischio e duplicavano i costi, e su questo davano risposte molto evasive. Era una situazione non opportuna”.  Interpellato dalle parti civili sull’eticità degli investimenti, Cassinis ha ricordato che tali criteri “sono stati introdotti soltanto nel giugno 2022, ma in precedenza non venivano applicati”. Nel dettaglio, Righini ha fatto notare che “l’Apsa faceva investimenti contrari alla dottrina sociale della Chiesa, anche con case farmaceutiche produttrici della pillola abortiva. Dopo la nostra segnalazione, hanno smesso”. Zannotti ha chiesto conto a Cassinis anche degli investimenti della Segreteria di Stato sul Fondo Athena, domandandogli  se il Papa ne fosse al corrente: “Per quello che mi risulta, no”, ha risposto il teste, certificando che “l’operazione ha determinato un’ingente perdita”.

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