Messa crismale: mons. Rega (San Marco Argentano-Scalea), “servire il popolo di Dio”, “portare a tutti la speranza, la gioia e la salvezza che vengono da Cristo”

“Siamo chiamati a vivere la nostra missione non come una carriera, non come un compito, ma come un dono di grazia che ci è stato affidato. Non dobbiamo mai dimenticare che il nostro primo impegno è quello di servire il popolo di Dio, di portare a tutti la speranza, la gioia e la salvezza che vengono da Cristo”. Lo ha detto questa mattina, mons. Stefano Rega, vescovo di San Marco Argentano-Scalea, durante la messa crismale nella cattedrale di San Marco Argentano. Questa celebrazione – ha aggiunto – assume “un grande significato” per tutta la Chiesa diocesana, per “noi sacerdoti, per i diaconi, per i consacrati, e per ogni battezzato. Oggi siamo chiamati a rinnovare la nostra fedeltà alla missione che ci è stata affidata nel battesimo e nel giorno della nostra consacrazione”. In un mondo che ha “bisogno di speranza, di guarigione, di consolazione”, ha sottolineato il presule calabrese, “siamo chiamati a essere segno visibile di questo amore e di questa missione. Lo dobbiamo essere ancor di più in una terra, quella della Calabria, così piena di contraddizioni”. Il pensiero di mons. Rega è andato ai “tanti giovani dotati di belle qualità, sognatori di un futuro migliore, ma deturpati di ogni possibilità che li aiuti a consolidare i loro desideri e a realizzarsi con fatica”. Ai “nostri anziani e alle tante persone abbandonate!”; ai lavoratori “depauperati dei loro diritti, agli ammalati che non possono ricorrere alle cure di una sanità pubblica fantasma; penso alle mamme di famiglia che ogni giorno si affaticano dedicandosi totalmente alle loro famiglie, colme di speranze non così certe per i figli. Penso ai drammi causati dal consumo smodato e sempre più dilagante di droghe e di alcool. Penso a chi si è reso schiavo del gioco d’azzardo e alle miriadi di povertà umane e spirituali nascoste e a quelle evidenti”. Dinanzi a “tanta incertezza”, ha detto mons. Rega, “la voce di Gesù risuona dal Tempio di Gerusalemme e giunge alle porte del nostro cuore, e come allora continua a proclamare il Giubileo della salvezza”. Il messaggio è di “gioia, segno visibile e segnale percepibile del cambiamento e dell’intervento salvifico di Dio. L’annuncio di liberazione deve essere proclamato ad alta voce – ha sottolineato il presule – anche ai prigionieri, a coloro che sono schiavi perché in catene; a quanti sono nel buio; agli oppressi, schiacciati nella loro dignità; a quanti vivono condizioni di vita alienanti e disumanizzanti, come la cecità, la miseria, la marginalità e ogni forma di schiavitù”. Ma “soprattutto – ha concluso –  è proclamato un tempo di grazia, di benevolenza, di riconciliazione, di misericordia, che nasce dalla volontà salvifica e gratuita da parte di Dio; il Giubileo è anche il tempo della fraternità e della solidarietà, così da restituire all’altro la possibilità di ricominciare, di rialzarsi, di ricostruire”.

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