“‘Oggi’ è la parola più rivoluzionaria del Vangelo, perché ci dice che non dobbiamo aspettare condizioni ideali per vivere da figli di Dio, che non dobbiamo aspettare il futuro per nutrire la nostra sete di salvezza perché la sorgente dell’amore che salva sgorga sempre, ed è presente perfino nei luoghi più impensati e dimenticati dagli uomini”. Lo ha detto, ieri sera, l’arcivescovo di Napoli, card. Mimmo Battaglia, durante la Messa crismale.
“Popolo di Dio, Chiesa di Napoli, l’olio che a breve benediremo è un simbolo di speranza, un sussurro che ci ricorda che non siamo soli, un balsamo che nutre, lenisce, illumina – ha sottolineato il porporato -. L’olio è il segno della speranza che non fa clamore, ma si insinua nelle crepe della vita e le cura. Quando la lampada sembra spegnersi, basta una goccia d’olio perché torni a brillare. Quando le cicatrici si induriscono e le ferite non smettono di far male è l’olio che scioglie la durezza e porta consolazione. Quando il pane è secco, l’olio lo rende morbido e profumato, capace di sfamare ancora. L’olio è il segno di chi non si arrende. E se un giorno dovesse sembrarci che la speranza sia finita, che non c’è più olio nelle nostre mani, ricordiamoci della vedova di Sarepta. Aveva solo un filo d’olio e un pugno di farina, ma l’ha condiviso. E quel poco è bastato. Perché la speranza non è accumulare, ma donare e condividere. Non è avere giare piene, ma continuare a versare”. Poi l’invito: “Chiesa di Napoli, l’unzione che hai ricevuto con il Crisma non la trattenere, donala! Non per restare ferma, ma per partire. Perché il Crisma è l’olio della missione, il segno di chi nel mondo deve essere profumo di Cristo, testimone di una speranza che non appassisce, ma si espande come un aroma buono, capace di cambiare l’aria della vita. E questa è la tua missione, la missione che ti è affidata come comunità dei discepoli, come popolo di Dio, abitato da tanti carismi e ministeri, dalla diversità di ruoli e servizi! E di questa unzione comune, di questa ricchezza poliedrica, vescovi e presbiteri, dobbiamo essere custodi e servi!”.
Ai sacerdoti ha chiesto: “Ungiamo i cuori feriti dalla solitudine, dalle ingiustizie, dalle paure. Ungiamo le mani che si tendono verso l’alto, in cerca di un aiuto, di una carezza, di un sorriso. Ungiamo i passi di chi è smarrito, di chi non sa dove andare, di chi ha perso la speranza. Ungiamo gli occhi di chi non vede più la bellezza del mondo, di chi ha dimenticato la gioia di vivere. Ungiamo le ferite della terra, martoriata dalla violenza, dall’egoismo, dalla distruzione. Ungiamo le menti offuscate dall’odio, dalla menzogna, dalla disperazione”. E ancora l’esortazione rivolta a tutti: “Diventiamo artigiani di speranza, portatori di consolazione, testimoni di resurrezione. Ungiamo il mondo con l’olio della tenerezza, del perdono, dell’amore. Vinciamo la paura di sporcarci le mani, di mescolarci alla folla, di abbracciare chi è diverso da noi. Ricordiamoci che siamo tutti fratelli e sorelle, figli dello stesso Padre, unti con lo stesso olio di speranza”.