Suicidio assistito: mons. Aiello (Avellino), “leggi devono essere accompagnate da dialoghi non ideologizzati”. “Non chiudere la saracinesca sulla vita”

Leggi come quelle sul suicidio assistito “devono essere accompagnate da dialoghi non ideologizzati”. Ne è convinto il vescovo di Avellino, mons. Arturo Aiello, che così si è espresso intervenendo nei giorni scorsi all’iniziativa promossa dalla diocesi con la collaborazione del network delle associazioni dell’Agenda Pubblica “sui tetti”, in particolare di realtà quali il Centro studi Livatino, Alleanza Cattolica, Family day, Steadfast e Medici cattolici.
Riferendosi poi al libretto del filosofo sudcoreano Byung-chul Han “La società senza dolore – Perché abbiamo bandito la sofferenza dalle nostre vite” (Einaudi, 2020), il presule ha osservato che “forse c’è una cultura analgesica che ci accompagna e che ci impone di essere belli, in salute e il moloch della salute ci tiene lontani dal saper guardare la fine della vita”. “Cercate un altro libro”, ha esortato, parlando de “La morte amica-Lezioni di vita da chi sta per morire”, dell’autrice francese Marie de Hennezel, con la prefazione di Francois Mitterand (Rizzoli, 1996), “che esplora fatti dal mondo degli hospice, dove tenere la mano del paziente viene raccontato come un aiuto meraviglioso. Stiamo, allora, attenti a entrare nella logica di una vita perfetta – ha ammonito –, cioè di quella vita sempre in ottima salute che ci propinano, per cui qualsiasi difficolta diventa insormontabile. Nessun dolore vorremmo, ma nessun dolore è nessuna vita, perché la vita stessa nasce da un dolore per un bene grande, il parto, e finisce in un dolore. Certo: il dolore non va difeso, ma stiamo attenti ad evitarlo a costo della vita stessa”.
“L’invito che vi rivolgo – ha proseguito il vescovo – è di prenderci cura sempre della vita, fino all’ultimo istante, anche perché uno può dire una parola nell’ultimo momento dell’esistenza che redime tutto quel che è successo prima”. “Perché chiudere la saracinesca sulla vita, quando potrei ancora dire ‘amen’ o ‘ti voglio bene’?”, ha domandato. “Così, anche Beethoven ha composto la nona sinfonia quando era del tutto sordo, cioè in una ‘condizione irreversibile’, o Schubert, seppur malatissimo e pieno di sofferenza, ha continuato a scrivere musica”. “Si! Proprio alla fine della vita posso dire una parola, una invocazione, che salvano. Quindi – ha concluso – intervenire in qualsiasi momento contro la vita, specie nell’approssimarsi della morte che è una circostanza massimamente solenne della stessa, per chiudere forzatamente ciò che può ancora essere, diventa un atto indebito”.

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