Papa in Slovacchia: ai vescovi, “la Chiesa non è una fortezza, il centro della Chiesa non è la Chiesa”. No alla “teologia del trucco”

(Foto Vatican Media/SIR)

“Vengo come vostro fratello e perciò mi sento uno di voi. Sono qui per condividere il vostro cammino, le vostre domande, le attese e le speranze di questa Chiesa e di questo Paese”. Così il Papa ha salutato i vescovi slovacchi, incontrati a Bratislava nella cattedrale di San Martino. “E parlando sul Paese, vengo di dire alla signora presidente he la Slovacchia è una poesia”, ha aggiunto a braccio: “Condividere era lo stile della prima comunità cristiana: erano assidui e concordi, camminavano insieme: litigavano pure, ma camminavano insieme. È la prima cosa di cui abbiamo bisogno: una Chiesa che cammina insieme, che percorre le strade della vita con la fiaccola del Vangelo accesa”. “La Chiesa non è una fortezza, non è un potentato, un castello situato in alto che guarda il mondo con distanza e sufficienza”, il monito di Francesco: “Qui a Bratislava il castello già c’è ed è molto bello! Ma la Chiesa è la comunità che desidera attirare a Cristo con la gioia del Vangelo, è il lievito che fa fermentare il Regno dell’amore e della pace dentro la pasta del mondo”. “Per favore, non cediamo alla tentazione della magnificenza, della grandezza mondana!”, l’appello: “La Chiesa deve essere umile come era Gesù, che si è svuotato di tutto, che si è fatto povero per arricchirci: così è venuto ad abitare in mezzo a noi e a guarire la nostra umanità ferita. Ecco, è bella una Chiesa umile che non si separa dal mondo e non guarda con distacco la vita, ma la abita dentro”. “Abitare dentro, non dimentichiamolo: condividere, camminare insieme, accogliere le domande e le attese della gente”, la ricetta del Papa: “Questo ci aiuta a uscire dall’autoreferenzialità: il centro della Chiesa non è la Chiesa!”. “E quando la Chiesa guarda a se stessa, finisce comela donna del Vangelo, piegata su se stessa guardandosi l’ombelico”, l’aggiunta fuori testo. “Usciamo dalla preoccupazione eccessiva per noi stessi, per le nostre strutture, per come la società ci guarda”, l’invito: “questo alla fine ci porterà a una teologia del trucco. Immergiamoci invece nella vita reale della gente e chiediamoci: quali sono i bisogni e le attese spirituali del nostro popolo? Che cosa si aspetta dalla Chiesa?”.

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