Iraq: Un Ponte per, “da 20 anni attendiamo i mandati di cattura internazionali per Bush e Blair”

“Il 20 marzo del 2003 cominciava l’invasione illegale che ha costruito un mondo più insicuro ed ingiusto, sostituendo alla diplomazia e al diritto internazionale la forza delle armi. Fu una guerra non solo contro il popolo iracheno ma anche contro i popoli del mondo e l’opinione pubblica internazionale che si era mobilitata in ogni angolo del pianeta per fermare il massacro. Non aver ascoltato quella che il New York Times definì ‘la seconda potenza mondiale’, ovvero il movimento contro la guerra, è stato un atto di miopia e di arroganza che ci ha precipitato nel caos attuale, dividendo i popoli e alimentando i pozzi di odio contro l’Occidente”. Lo affermano, in una dichiarazione congiunta, Alfio Nicotra e Angelica Romano, co-presidenti nazionali di Un Ponte Per, l’Ong e associazione pacifista italiana presente in Iraq dal 1991. “In questi decenni – proseguono Nicotra e Romano – Un Ponte Per ha testimoniato le atrocità inferte dalla guerra al popolo iracheno, oltre ai crimini commessi dalla precedente dittatura. Siamo stati sotto le bombe con le vittime, abbiamo subito minacce e rapimenti dei nostri cooperanti, abbiamo denunciato i crimini di guerra con le bombe al fosforo bianco su Falluja, le esecuzioni sommarie, la distruzione di case ed edifici pubblici, gli arresti arbitrari e la vergogna delle torture nel carcere di Abu Graib. Non c’è niente di cui essere orgogliosi rispetto a quella guerra, mossa in base ad accuse – le fantomatiche armi di distruzione di massa – palesemente costruite a tavolino e completamente false. Per questo attendiamo da 20 anni che il Tribunale internazionale dell’Aja metta sotto processo l’ex presidente Usa George W.Bush e l’ex primo ministro britannico Tony Blair che guidarono l’invasione di un Paese sovrano”. “L’Iraq di oggi con la sua straordinaria società civile – continuano Nicotra e Romano – è cresciuto nonostante le scelte sbagliate imposte a suo tempo dal Governatore Usa Paul Bremer, basate sulla divisione dell’Iraq su base etnica e religiosa, imponendo dall’alto una Costituzione non rappresentativa dei valori democratici, dell’eguaglianza delle persone e dei diritti umani e civili”. “Occorre che le ingenti risorse consumate nelle missioni militari anche dell’Italia – concludono Nicotra e Romano – siano usate invece per la ricostruzione civile dell’Iraq e il rafforzamento della sua unità e democrazia”.

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