Diocesi: mons. Marciante (Cefalù), “dobbiamo continuare a entrare nella storia per tracciare percorsi di speranza”

“La Chiesa non ha e non può avere mire a governare o a prendere il potere. Offre un servizio”. “Penso che i nostri amministratori durante i diversi incontri hanno capito lo spirito della nostra realtà ecclesiale. La Chiesa a volte può anche pestare i piedi quando reclama determinati diritti o chiede di rispettare determinate norme. Può essere anche una Chiesa scomoda. Serve sincerità e lealtà. Un dialogo aperto”. Lo afferma il vescovo di Cefalù, mons. Giuseppe Marciante, in un’intervista pubblicata sul sito della diocesi.
Il presule passa in rassegna “i problemi presenti sull’intero territorio della Chiesa cefaludense” e lo fa “non nell’ottica di stilare possibili e facili bilanci. Ma con quella di continuare a entrare nella storia, nel nostro travagliato presente. Con l’inarrestabile desiderio di tracciare percorsi di speranza”. Il vescovo si sofferma sulla fuga dei giovani, rilevando che “siamo di fronte a una lacerante desertificazione di tutti i nostri comuni. Dobbiamo arrestarne la fuga”. Mons. Marciante sottolinea poi che “serve una buona testimonianza da parte di coloro che sono impegnati nella politica. Va testimoniato che non è un mestiere ma una missione”. C’è necessità “di formare uomini appassionati della politica. Non dobbiamo creare lo strumento, ma l’anima”, precisa. Non manca poi una riflessione sulla pandemia e sulle conseguenze per la vita delle persone. Il vescovo poi analizza il ruolo di Cefalù che “non può e non deve chiudersi in se stessa” ma deve sempre più essere “la porta delle Madonie”. Mons. Marciante elenca sogni e speranze, parla di accoglienza e assistenza per gli anziani, del dialogo con le istituzioni e conclude con un pensiero alla guerra in Ucraina: “Dobbiamo prendere le distanze da ogni possibile forma di nazionalismo. Questa guerra è frutto di un nazionalismo. Quando si esaspera il nazionalismo si arriva alla guerra. Anzitutto bisogna abbattere l’idea di nazionalismo. Insieme al populismo è un virus che alimenta la guerra. Ogni stato dovrebbe aborrire la guerra come strumento di soluzione. Genera solo e sempre l’inciviltà. Un popolo che fa la guerra ad un altro popolo regredisce. Non avanza culturalmente, politicamente e spiritualmente”.

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