Papa Francesco: udienza, “la consolazione non è sentirsi un pavone davanti a Dio”

foto SIR/Marco Calvarese

La consolazione non è “sentirsi un pavone davanti a Dio”. Lo ha spiegato, a braccio, il Papa, nella catechesi dell’udienza di oggi, pronunciata in piazza San Pietro e dedicata a questo elemento importante del discernimento. “Se comincio a pregare e, come fa il fariseo della parabola, tendo a compiacermi di me stesso e a disprezzare gli altri, magari con animo risentito e acido, allora questi sono segni che lo spirito cattivo ha usato quel pensiero come chiave di accesso per entrare nel mio cuore e trasmettermi i suoi sentimenti”, ha detto Francesco a proposito della vera e falsa consolazione: “Se io vado a pregare – ha aggiunto a braccio – e mi viene in mente quel fariseo famoso: ‘Ti ringrazio, Signore, perché io prego, non sono come l’altra gente…’, quella preghiera finisce male. Quella consolazione è come sentirsi un pavone davanti a Dio”. Di qui la necessità di chiedersi: “dove mi porta quel pensiero? Per esempio dove mi porta il pensiero di pregare”. Ad esempio, “può capitare che mi impegni a fondo per un’opera bella e meritevole, ma questo mi spinge a non pregare più, perché sono indaffarato; mi scopro sempre più aggressivo e incattivito, ritengo che tutto dipenda da me, fino a perdere fiducia in Dio”. “Qui evidentemente c’è l’azione dello spirito cattivo”, ha commentato il Papa, che poi ha proseguito a braccio: “Io mi metto a pregare e poi nella preghiera io mi sento onnipotente, perché sono l’unico a portare avanti bene le cose”. “Esaminare bene il percorso dei miei sentimenti”, l’invito di Francesco.

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