Ddl Zan: Gambino (Scienza&Vita), “incide su cultura ufficializzando per via legislativa teoria gender e limitando libertà educativa genitori”

“Dando delle definizioni che normalmente le leggi non danno, il ddl Zan incide sulla cultura”. Non ha dubbi Alberto Gambino, giurista e presidente di Scienza&Vita, intervenuto alla “conferenza di ascolto”  dal titolo “Contro le discriminazioni? Sì! Ma non così”, promossa oggi presso la sala Nassiriya del Senato dal network Polispropersona (70 associazioni no profit) “per indicare al Senato le gravi criticità illiberali della proposta di legge, segnalate da una straordinaria convergenza di intellettuali e giuristi, esponenti di culture diverse”, ha spiegato introducendo e moderando l’incontro Domenico Menorello.
Nell’art.1, ha specificato Gambino “vi sono definizioni normative, e quindi cogenti per la collettività. Un domani, quando si applicherà una norma che non c’entra nulla con questo disegno di legge, il giudice potrà prendere quel riferimento normativo sulla definizione dell’identità di genere e qualificare come identità di genere un’identificazione percepita di sé in un contesto non legato alla discriminazione”. Il secondo elemento di criticità è “il combinato disposto ‘istigazione’ e ‘discriminazione’: una bomba atomica”. Per il giurista si tratta di “una fattispecie molto generica, astratta ma che può rappresentare un potentissimo grimaldello nelle mani di chi deve applicare le norme”. Gambino si sofferma quindi sul “termine perentorio” (il verbo “provvedono”) con il quale le scuole sono chiamate dall’art. 7 a celebrare la giornata nazionale contro l’omofobia. “Anche qui la legge rischia di superare un paradigma costituzionale” perché “l’educazione spetta primariamente ai genitori che la delegano agli insegnanti”. Se anziché una delega si configura “un’attribuzione diretta del potere di definire i contenuti dell’educazione, per le famiglie vengono meno gli spazi di libertà e la possibilità di esercitare il legittimo diritto di decidere insieme alla scuola quali siano i contenuti delle attività extra curricolari”, rischiando così di subire “anche programmi che potrebbero non condividere”.

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