Covid-19 e comunicazione: Fanchi (Univ. Cattolica), “contro le derive recuperare il significato profondo del servizio all’altro”

“La comunicazione è il primo e fondamentale presidio per la salute e il benessere personale e collettivo” perché una buona informazione “consente ai cittadini di maturare una piena consapevolezza su rischi e buone pratiche, a tutela della propria salute e di quella di chi ci circonda”. Lo sostiene in un’intervista al Sir Mariagrazia Fanchi, direttrice dell’Alta Scuola in media, comunicazione e spettacolo (Almed) dell’Università Cattolica, analizzando le derive della comunicazione in tempo di Covid, spesso sovrabbondante, “urlata”, contaminata da fake-news, di fronte alla quale “il giornalista è tenuto ad una sempre maggiore competenza specialistica”, in una situazione di crisi che “accelera i tempi e richiede continui aggiornamenti ” ma anche la capacità di gestire “linguaggi diversi perché i canali comunicativi sono moltissimi”. Gli “esperti” sono invece chiamati a “responsabilità” e maggiore “sensibilità rispetto all’impatto” delle proprie affermazioni “su persone ignare delle retoriche del confronto interno alla comunità scientifica”.
Ma secondo Fanchi occorre inoltre recuperare la “dimensione etica a monte del comunicare”, il suo “significato profondo” che è “condividere, fare un servizio rivolto all’altro”. Questo, secondo l’esperta, “costituirebbe certamente un argine alle derive cui abbiamo assistito in questi mesi”. Dopo avere sottolineato opportunità e rischi della “comunicazione partecipata” tra micro reti e broker, Fanchi ribadisce: “Un’informazione di qualità è cruciale per il buon funzionamento di tutta la società nelle sue diverse articolazioni”. Coinvolti non solo gli “addetti ai lavori”, ma anche i cittadini che partecipano alla costruzione della notizia e devono essere “consapevoli delle conseguenze delle loro azioni”. Importante una formazione specifica a partire dalla scuola primaria. Quanto alle fake news, dopo il fallimento di ogni tentativo di contrastarle, occorre “assecondare l’onda partendo dal basso dove spesso le fake news vengono create” e “inoculare lì quegli anticorpi che consentano di riconoscerle e quindi di smontarle. E questo va fatto prestissimo: gli under 20-25 – assicura – sono i più abili nel fact-checking”.

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