Disabilità: Swinton (Univ. Aberdeen), “nella Chiesa facciamo accoglienza l’uno dell’altro e non facciamo differenza fra noi e loro”

(Foto Siciliani-Gennari/SIR)

Sull’appartenenza al mondo e alla Chiesa di tutte le persone, comprese quelle che hanno disabilità, si è soffermato John Swinton, docente di Teologia all’Università di Aberdeen in Scozia, durante il convegno Cei sulla disabilità in corso a Roma. “Siamo chiamati – ha spiegato – a prenderci cura del creato e cura dell’altro ma anche a ricevere cura. Nelle discussioni sull’eutanasia, le persone dicono che non vogliono perdere la propria dignità. La Genesi però ci dice che quando arriviamo all’ultimo stadio della vita non perdiamo la dignità ma riceviamo la cura, che è un aspetto dell’essere umano. Fa parte del processo, composto dal dare e dal ricevere cura”. Sul concetto di inclusione, il docente ha ricordato come esso sia spesso limitato a un termine legale: “Significa che ovunque andiate l’organizzazione deve avere le caratteristiche per permettere l’accesso, ma il problema dell’inclusione, una volta che si entra nell’edificio, è che non ci sia nessuno pronto ad amarti o parlarti”. Nei Vangeli, “una delle cose che notiamo nell’accoglienza di Gesù è che a volte era lui che ospitava, altre volte era accolto. Nella disabilità, dobbiamo accoglierci l’uno con l’altro, ovunque ci troviamo. Nella Chiesa facciamo accoglienza l’uno dell’altro e non facciamo differenza fra noi e loro. Spero che metteremo in pratica l’accoglienza e attueremo la trasformazione che Dio vuole da noi”. Per appartenere e creare una comunità di appartenenza, secondo il docente, dobbiamo avere “amici speciali” nel senso che ci ha insegnato Gesù: “Per lui essere amico di qualcuno significa amarlo semplicemente per quello che è. Nella nostra società spesso avere amici serve per avere qualcosa. Il modello di amicizia di Gesù, invece, scompone molte delle barriere che abbiamo per darci un dono”.

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