Terra Santa: El-Yousef (Patriarcato), “se si guarda all’orizzonte politico difficile trovare spazio per la speranza”

Gerusalemme (Foto Sir)

“In Medio Oriente in Terra Santa è difficile trovare molto spazio per la speranza se si guarda all’orizzonte politico”. È l’amara constatazione di Sami El-Yousef, Direttore generale del Patriarcato latino di Gerusalemme, che trapela dalla sua riflessione mensile diffusa oggi dai canali ufficiali del Patriarcato. Tra i motivi di questa perdita di speranza, il Direttore elenca “la guerra di quattro giorni a Gaza (lo scorso maggio, ndr.) che ha devastato ancora una volta la comunità; l’uccisione della giornalista cristiana Shireen Abu Akleh; le continue tensioni a Gerusalemme sull’accesso ad alcuni luoghi santi che sembrano non avere fine”. E poi ancora “un’altra votazione in Israele prevista tra due mesi, la quinta in quattro anni, con l’instabilità che ne deriva; la mancanza di un percorso chiaro verso la riconciliazione o la pace sul fronte Palestina-Israele; per non parlare dei continui problemi dei rifugiati intorno a noi e di un Libano in bancarotta con tutte le tensioni che crea al suo interno e con i suoi vicini”. Tuttavia, aggiunge El-Yousef, “come persone di fede che hanno assistito a tanti cicli di violenza e disparità, siamo stati abituati ad accettare tutto questo come parte del piano di Dio e ad accettare il bene e il male, e a concentrarci sulla ricerca di una via da seguire per continuare a essere al servizio delle nostre comunità cristiane e della società in generale”. Nella sua riflessione mensile il direttore generale del Patriarcato passa in rassegna anche il periodo estivo trascorso, il primo dopo il Covid, nel quale molti ragazzi hanno potuto godere di nuovo dei campi estivi e delle vacanze. “È la prima volta dopo due anni che non c’è la minaccia di un’istruzione online, il che ha segnato un allontanamento dai giorni della pandemia, anche se non siamo del tutto fuori pericolo. Sia in Giordania che in Israele – scrive il direttore – non si parla di pandemia o di questioni sanitarie, in netto contrasto con la Palestina, dove la settimana scorsa il presidente ha dichiarato lo stato di emergenza per 30 giorni a causa dell’aumento del numero di casi. Tuttavia, è chiaro che tale dichiarazione non è stata accompagnata da alcuna regolamentazione chiara e quindi sembra che anche in Palestina la vita continui come sempre”. “Nonostante la vita stia gradualmente tornando alla normalità e la disoccupazione in Israele sia tornata ai livelli pre-pandemia, sotto il 5%, essa continua a essere eccessivamente alta in Palestina e in Giordania, ben oltre il 20% e intorno al 50% a Gaza”. La situazione, aggiunge, “è stata esacerbata dalla guerra in Ucraina, che ha portato a un forte aumento dei prezzi di beni e servizi e a un incremento dell’inflazione che non si vedeva da molto tempo. Come se non bastasse, i tassi di cambio dell’euro e del dollaro con la forte valuta israeliana hanno fatto sì che tutti i sussidi e le donazioni ricevuti in quelle valute perdessero almeno il 10% del loro valore. Riuscire a mantenere l’equilibrio di bilancio in queste circostanze sembra essere quasi impossibile, con la necessità di esaminare i progetti con nuovi metodi razionali”. A buon fine anche i programmi di sostegno umanitario: “centinaia di persone sono state aiutate con assistenza medica e sociale di base, sostegno scolastico. Il programma per l’occupazione a Gaza ha permesso a 25 persone di trovare un impiego permanente.

 

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