Rapporto Svimez: il lavoro tra “precarietà persistente” e salari reali erosi dall’inflazione

“Più precari e più a lungo”: così la Svimez sintetizza la situazione dei rapporti di lavoro nel nostro Paese ma soprattutto nelle regioni meridionali. In Italia – afferma il Rapporto 2022 presentato oggi a Roma – la quota di lavoratori che da almeno 5 anni sono impegnati in impieghi a termine si è attestata al 17,5% sul totale di chi non ha un’occupazione stabile. Ma la “precarietà persistente” non è diffusa in modo omogeneo: al Sud coinvolge quasi un lavoratore su quattro (23,8%), 11 punti percentuali in più del Nord e 7 rispetto al Centro. Nel 2020 (anno a cui risalgono gli ultimi dati disponibili) gli occupati precari che a distanza di un anno trovavano un lavoro stabile erano il 15,8% nel Mezzogiorno a fronte di una media nazionale del 22,4%. Intanto, osserva ancora la Svimez, “l’inflazione rimane al di sopra della crescita salariale negoziata per il 2022, continuando a erodere i salari nel corso dell’anno”. Tra il 2008 e il 2021 le retribuzioni lorde sono diminuite in termini reali di circa 9 punti nelle regioni meridionali e di 3 in quelle settentrionali. E continua ad allargarsi il fenomeno del “lavoro povero”. Nel 2021 gli occupati dipendenti extragricoli privati con retribuzione inferiore a 10.700 euro erano 3,2 milioni, di cui 2,1 al Centro-Nord e 1,1 milioni al Sud. Ma mentre nel primo caso il fenomeno riguarda il 18% degli occupati, nel secondo ben il 34,3%. Nelle regioni meridionali, insomma, oltre un occupato su tre ha un lavoro con bassissima retribuzione.

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