Ciad: Bongiovanni (Fondazione Magis), “il laboratorio per combattere Covid e malattie tropicali è un segno concreto di come sia possibile ridurre le distanze”

“La pandemia da Covid-19 ha portato all’attenzione pubblica mondiale la salute come bene primario e universale da non affrontare con logiche localistiche. I Paesi ricchi del mondo devono riflettere sull’emergenza sanitaria che stanno vivendo in questo particolare momento storico capendo che è una situazione cronica in altri Paesi del mondo dove il diritto alla salute di base è negato a causa di povertà, guerra, sfruttamento e insensibilità internazionale”. Lo dice il presidente di Fondazione Magis, Ambrogio Bongiovanni, presentando il progetto del laboratorio in Ciad per combattere Covid e malattie tropicali, “un segno concreto di come sia possibile ridurre le distanze. Operiamo quindi ogni giorno affinché il diritto fondamentale alla salute di qualità per tutti diventi una priorità dell’agenda politica di ogni Stato, in accordo con il terzo obiettivo dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile approvata dalle Nazioni Unite”.
In Ciad la prima ondata della pandemia da Covid-19, a marzo 2020, è stata drammatica, con i pochi ospedali pubblici totalmente impreparati a gestire l’epidemia. Racconta direttamente dal Ciad Sabrina Atturo, responsabile Progetti di Fondazione Magis: “La preoccupazione era grande fin dall’inizio per tutti i nostri partner nel Sud del mondo, che hanno sistemi sanitari fragilissimi. Ci siamo quindi subito mobilitati, prima inviando attrezzature e dispositivi di protezione e poi costruendo il laboratorio specializzato. L’impegno contro il Covid-19 è stato e rimane importante, intanto manteniamo alta l’attenzione su tutte le altre epidemie che a livello internazionale sono sempre poste in secondo piano”.
La seconda ondata, iniziata nel gennaio 2021, è stata più controllata grazie a un numero maggiore di biologi capaci di diagnosticare la malattia. Secondo i dati dell’Oms sul Covid-19, l’Africa registra il 3% dei contagi e dei decessi mondiali. Vittorio Colizzi, consulente sanitario del progetto e docente di Immunologia e Patologia presso l’Università di Roma Tor Vergata, spiega: “Il dato epidemiologico che la zona saheliana sia la meno colpita da Covid-19 potrebbe essere dovuto a una maggiore capacità di regolare lo stimolo infiammatorio indotto dal virus nel polmone. La presenza di polvere e di sabbia che fin da piccoli gli africani inalano nel polmone potrebbe aver indotto una maggiore capacità di controllo della risposta infiammatoria. L’arrivo del virus, che induce infiammazione polmonare, è quindi compensato da una maggiore attività antinfiammatoria sviluppata”.
Conclude Colizzi: “Come tutto il mondo, ora l’Africa è di fronte alla sfida dei vaccini, che stanno arrivando con il contagocce. Il principio della salute globale che il Covid-19 ci ha fatto scoprire potrebbe portare a una maggiore consapevolezza che queste pandemie sono debellabili purché siano gestite con il medesimo spirito universale, proprio come è stato fatto con l’Aids e l’ebola”.

© Riproduzione Riservata

Quotidiano

Quotidiano - Italiano

Chiesa