Niger: Morelli (Unhcr), “partito convoglio Onu per monitorare bisogni umanitari”

In Niger le agenzie dell’Onu stanno monitorando la situazione e i movimenti delle persone in fuga dalla provincia di Tahoua, dove sono stati compiuti gli ultimi attacchi di matrice jihadista. Il 21 marzo sono state uccise 137 persone, tra cui 22 bambini. È appena partito un convoglio con rappresentanti dell’Unhcr, dell’Unicef, del Wfp e del governo che farà una prima analisi dei bisogni umanitari.  Lo annuncia in una intervista al Sir Alessandra Morelli, rappresentante dell’Alto commissariato dell’Onu per i rifugiati (Unhcr) a Niamey, in Niger. “Svolgiamo tutto con estrema delicatezza e attenzione – precisa Morelli – per evitare di trovarci in mezzo ad una imboscata”. La regione di Tahoua è immensa, ci sono pochissime strade, per i militari è difficilissimo rintracciare persone che si muovono in moto. Inoltre da lì “le informazioni arrivano con il contagocce perché sono zone remote e isolate, con telecomunicazioni molto precarie”. L’Unhcr ha però già notizia di oltre 600 persone che stanno attraversando la frontiera per cercare riparo in Mali. Le regioni nigerine di Tahoua e Tillaberi, che confinano con Burkina Faso e Mali, ospitano attualmente 204.000 rifugiati e sfollati interni. A gennaio 2021 ci sono stati attacchi simili nella regione occidentale di Tillaberi, a Tchombangou e Zaroumdareye. Due giorni prima era passata una pattuglia delle forze militari nigerine, l’attacco è avvenuto il giorno dopo. “La dinamica è la stessa – dice Morelli -. Osservano il movimento delle truppe e quando se ne vanno attaccano”. Questo è il secondo massacro contro civili nell’arco di una settimana. Il 15 marzo, gruppi armati hanno ucciso almeno 58 persone, compresi 6 bambini, di ritorno dal mercato nel dipartimento di Banibangou, nella regione di Tillaberi, vicino al confine con il Mali. Niger, Burkina Faso e Mali sono oggi epicentro di una delle crisi umanitarie a crescita più rapida. La regione sta già ospitando quasi tre milioni di rifugiati e persone sfollate all’interno del proprio Paese a causa di conflitti. “Il 50% sono rifugiati e l’altro 50% sono sfollati interni – puntualizza Morelli -.  Questo significa che c’è un enorme problema di sicurezza”.

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