Fine vita: mons. Redaelli, “la Chiesa vuole essere presente e accompagnare nel passaggio verso la nuova vita”

(Foto Siciliani-Gennari/SIR)

“La Chiesa italiana vuole mantenere un dialogo sia con chi ha direttamente la cura pastorale – sacerdoti, diaconi, ministri straordinari della comunione – sia con gli operatori sanitari, credenti e non credenti, delle strutture sanitarie cattoliche e non cattoliche, oltre che con le famiglie di chi sta affrontando l’ultima fase della vita”. Lo ha detto oggi mons. Carlo Redaelli, arcivescovo di Gorizia e presidente Commissione episcopale per il servizio della carità e la salute, presentando in conferenza stampa online il documento “Alla sera della vita. Riflessioni sulla fase terminale della vita terrena” (Editoriali Romani 2020). Il testo, elaborato dall’Ufficio nazionale per la pastorale della salute della Cei, è frutto di una riflessione rigorosa e approfondita, condivisa nella stessa Commissione: “una lunga elaborazione perché le questioni sono complesse e perché si tratta di un testo pastorale attento all’evolversi della concretezza della vita nella fluidità e complessità della società italiana”, ha spiegato il presule richiamando “l’incrocio con il tema del suicidio assistito l’anno scorso ed oggi quello della pandemia”. Coniugando linguaggio pastorale con linguaggio medico scientifico, il documento intende offrire risposte e  orientamenti in una situazione in continua evoluzione: “Oggi infatti non si parla più di morte, ma di processo del morire che richiede un accompagnamento, un prendersi cura, distinguendo il curare dal guarire. Anche quando non si può guarire bisogna sempre continuare a curare”. “La dignità della vita umana – ha precisato mons. Redaelli – prescinde dalle condizioni di salute e dall’età”, e “la persona non è oggetto della cura ma soggetto della relazione”. Di qui l’importanza delle cure  palliative, “parte di un accompagnamento attento a tutte le parti della persona: la dimensione medica, spirituale, relazionale e familiare”.  “Come vescovo – ha concluso -, ritengo che dove ci sono persone malate debba sempre esserci una presenza della Chiesa o attraverso il cappellano o attraverso operatori  pastorali. La morte è faticosa e angosciosa, ma noi sappiamo che diventa l’alba di una nuova vita nell’aldilà”.

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