Fine vita: don Angelelli, “non esiste un diritto a morire. Riconoscerlo implicherebbe un corrispondente dovere di uccidere”

Roma 16-9-2020 Conferenza Episcopale Conferenza stampa Alla sera della vita Presentazione di un volume sulla fase terminale della vita terrena. Ph: Cristian Gennari/Siciliani

“È stato un lavoro di circa due anni perché ogni parola è stata soppesata con attenzione per offrire a tutti un documento di confronto e di dialogo rispettoso delle posizioni, ma anche chiaro nella proposta: è il punto di vista della Chiesa cattolica in Italia sulla fine della vita terrena”. Don Massimo Angelelli, direttore Ufficio nazionale per la pastorale della salute della Cei, presenta in conferenza stampa online i punti essenziali del documento “Alla sera della vita. Riflessioni sulla fase terminale della vita terrena”, elaborato dallo stesso Ufficio e condiviso nella  Commissione episcopale per il servizio della carità e la salute. Di qui la scelta di un testo “fondato scientificamente e pastoralmente, ma per il quale si  è utilizzato un linguaggio chiaro, non tecnico”.
Quattro i capitoli. Si parte dalle premesse antropologiche e morali che raccontano lo sguardo della Chiesa sulla persona e la sua centralità nel sistema relazionale e di cura. “Abbiamo chiarito che cos’è la vita, perché non è disponibile e dunque perché non esiste un diritto a morire”, spiega tra le altre cose il sacerdote. Soffermandosi sul concetto di “libertà di autodeterminazione del paziente”, Angelelli sostiene che occorre allo stesso modo “rispettare la capacità di libera autodeterminazione del medico che di fronte ad una richiesta di anticipazione della morte, in scienza e coscienza, può e deve dire: non sono d’accordo, è contraria al mio apparato valoriale”. “Non è pensabile un diritto a morire – chiarisce il direttore dell’Ufficio Cei -, perché se costruiamo un diritto a morire dobbiamo costruire un dovere di qualcuno a porre fine alla vita. Per postulare un diritto a morire dovremmo postulare un dovere di uccidere e questo dal punto di vista umano, civile e cristiano è totalmente inaccettabile”.
Nel testo non si parla di “fine vita” ma di “fine vita terrena” perché “la prospettiva cristiana supera questa vita e si rivolge con uno sguardo escatologico alla vita futura”. Ci sono chiarimenti sui termini della questione – eutanasia, accanimento terapeutico, idratazione e nutrizione, terapia del dolore e cure palliative, sedazione profonda. Angelelli ricorda che “l’attore principale, il malato che si prepara a concludere la sua vita terrena, deve restare sempre al centro dell’attenzione del sistema di cure”. “Per i credenti – conclude – la fine della vita terrena è il passaggio all’incontro con Dio” ma anche in caso di non credenti “la domanda di senso sulla sofferenza non va assolutamente elusa; ogni sofferente e ogni malato deve essere accompagnato nella ricerca della sua risposta”.

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