
Sì alla promozione delle popolazioni indigene, dei loro territori, no alla “finanziarizzazione” della natura, e allo sfruttamento indiscriminato. È l’appello del card. Jaime Spengler, arcivescovo di Porto Alegre e presidente del Consiglio episcopale latinoamericano (Celam), intervenuto questa mattina a Roma, al convegno “Transizioni giuste: il ruolo della Chiesa nella costruzione di una visione latinoamericana di sviluppo sostenibile dal punto di vista sociale, economico e ambientale”, promosso alla Pontificia Università Gregoriana, su iniziativa dell’Ambasciata della Colombia presso la Santa Sede.
Il porporato ha preso le distanze sul negazionismo rispetto al cambiamento climatico: “Anche se sembra impossibile con le prove scientifiche di cui disponiamo oggi, alcune élite economiche e politiche negano la sua esistenza. Inoltre, influenzano i governi dei Paesi indispensabili per un accordo complessivo, che permetta di affrontare le cause del riscaldamento globale. Ma i cambiamenti climatici sono lì e i fenomeni estremi ci stanno progressivamente colpendo tutti, come una malattia silenziosa e letale. L’accelerazione del riscaldamento è inequivocabile”
Il card. Spengler, ha infine indicato cinque impegni che la Chiesa latinoamericana, ai vari livelli, è chiamata a mettere in pratica. Anzitutto, “la sobrietà come resistenza al consumismo. Affinché le transizioni giuste siano possibili, dobbiamo dare spazio a nuovi stili di vita che ci conducano all’essenziale, prescindendo dal consumo vorace delle risorse naturali; quindi, l’educazione alla conversione ecologica, poiché “è necessario impegnarsi a fondo nell’istruzione per formare le nuove generazioni che realizzeranno le transizioni giuste in materia ambientale, economica e sociale; in terzo luogo, il rafforzamento delle comunità locali, “chiamate a esercitare pienamente la loro cittadinanza in una prospettiva di ecologia integrale, in esse risiede la saggezza di cui abbiamo bisogno per affrontare le sfide attuali”; poi, il dialogo permanente con la comunità scientifica: “Dobbiamo avere l’umiltà e il coraggio di istituire tavoli di dialogo tra i ricercatori dei centri in cui si genera la conoscenza, la società e i leader e i responsabili delle politiche e delle azioni di trasformazione”; infine, la promozione di narrazioni di speranza e cura della “casa comune”, rendendo visibili le “buone pratiche” che possiamo replicare e che, alla fine, sono semi di trasformazione.