Congresso eucaristico internazionale 2024: mons. Maggioni, “l’Eucaristia non è staccata dalla vita, ci aiuta a sanare le nostre ferite”

“Risvegliare energie a favore di un’opera di evangelizzazione sia dentro che fuori la Chiesa”. Mons. Corrado Maggioni, presidente del Pontificio Comitato per i Congressi eucaristici internazionali, sintetizza così lo spirito e l’obiettivo del prossimo Congresso eucaristico internazionale, in programma a Quito dall’8 al 15 settembre 2024. L’occasione – ha ricordato Maggioni durante un punto stampa in sala stampa vaticana – saranno i 150 anni dalla consacrazione dell’Ecuador al Cuore di Gesù, voluta dal presidente di allora. “L’Eucaristia ha a che fare con la fede: se non c’è l’esperienza dell’incontro con Cristo, se non ci si chiede he cos’è Cristo per noi, celebrare l’Eucaristia è improponibile”, spiega il biblista a proposito dello “stato di salute” dei Congressi eucaristici, direttamente proporzionale a come la dimensione eucaristica è vissuta nei diversi Paesi del mondo, “in alcuni dei quali si registra una certa stanchezza a livello della celebrazione di questo sacramento”. “Figli di Dio e fratelli tra di noi”: è questa, per Maggioni, la dimensione da recuperare, anche a livello eucaristico, “in un mondo ferito”, come ci insegna Papa Francesco nella “Fratelli tutti”. Di qui l’attualità del tema dell’appuntamento di Quito, “Fraternidad para sanar el mundo” (“Fraternità per sanare il mondo”): “Non si può celebrare l’Eucaristia se siamo divisi”. Per il presidente del Pontificio Comitato dei Congressi eucaristici internazionali, “Cristo ricompone l’armonia originaria voluta da Dio e rotta da Caino con l’omicidio di Abele. La celebrazione eucaristica prolunga la vocazione alla comunione universale con tutti gli uomini e l’armonia del creato. La Luce dell’Eucarestia ci riconcilia con le nostre ferite e ci invia in missione per sanare le ferite del mondo”. L’Eucarestia, dunque, “non è staccata dalla vita: si va all’appuntamento eucaristico non per dare qualcosa a Dio, ma per ricevere qualcosa da lui. E’ lui che sana le nostre ferite, per permetterci di diventare guaritori delle relazioni che appartengono al tessuto della nostra vita: nella famiglia, nella società, nella Chiesa”.

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