Giustizia: Flick a Tv2000, “compito del giudice non è combattere il sistema”

“Il giudice ha il compito di accertare la verità di fatti specifici e irrogare le sanzioni, non di combattere il sistema come tale”. Lo ha detto il presidente emerito della Corte Costituzionale ed ex ministro della Giustizia, Giovanni Maria Flick, a Tv2000 ospite del programma ‘Soul’, condotto da Monica Mondo, in onda sabato 14 settembre ore 20.50. “Molti magistrati che appaiono di più – ha aggiunto Flick – hanno scelto la strada delle intercettazioni da percorrere fino in fondo per contrastare il sistema corruttivo. Ma questo contrasto che va fatto ferocemente, a cominciare dalla riforma della pubblica amministrazione, non può essere fatto solo con lo strumento penale. Il diritto penale deve essere l’estrema ratio e nel diritto penale la privazione della libertà personale come pena o come strumento d’essere due volte l’estrema ratio. Noi oggi assistiamo a una situazione in cui si fronteggiano il diritto morente, quello della legge, che non funziona più, e il diritto vivente, quello dei magistrati. È forte la tentazione di dire: va bene, siamo noi allora il supporto fondamentale della società”.
Il compito del magistrato, ha sottolineato Flick a Tv2000, è “accertare nei limiti del possibile la verità del caso concreto, limiti che derivano dai principi del rispetto della legge”. “Una verità giuridica, non morale, sono cose diverse. E questo compito lo hanno svolto i magistrati bene, ma con una preparazione troppo teorica e lontana dalla realtà, in un primo momento. La giustizia d’altra parte è il banco di prova anche del confronto tra l’autorità politica e l’autorità giudiziaria, lo vediamo tutti i giorni. I magistrati si sono trovati in un primo momento a dover fare i supplenti della politica che aveva lasciato molti spazi aperti”.
Nella lunga intervista a Tv2000 il presidente emerito della Corte Costituzionale ha anche ricordato il caso dell’imprenditore Raul Gardini morto trent’anni fa: “Sono stato difensore di Raul Gardini negli ultimi mesi della sua vita. Ciò che volevo dire è che ho saputo da lui l’ho detto nei limiti in cui non violava il segreto professionale. Lo vidi la sera prima che si uccidesse, l’avevo visto in tempi precedenti, l’avevo trovato molto depresso e angosciato dall’idea di non potersi difendere perché le liti familiari avevano portato la sua estromissione e la non disponibilità dei documenti con cui spiegare la storia. Rimasi sconvolto dal suo suicidio perché ero stato con lui la sera prima e con i familiari, il figlio e la moglie, e si era discusso del fatto che il giorno dopo avrebbe dovuto incontrarsi con Di Pietro e raccontare. E lui era sconvolto dall’idea. ‘Ma che cosa racconto, non posso raccontare niente’, diceva. Quella sera venne arrestato Garofalo e fu mandata in onda tutta la notte il suo arresto e la versione di Garofalo: ‘Ha fatto tutto Gardini’. Tanto che angosciato al mattino gli telefonai per chiedergli: ‘Vuole che prendiamo un caffè insieme prima di andare dal magistrato?’ Ci eravamo parlati fino a mezzanotte e avevamo detto tante cose che la magistrata di turno mi chiese e che io non potei riferirle perché ritengo tuttora di essere vincolato al segreto professionale”.

© Riproduzione Riservata

Quotidiano

Quotidiano - Italiano

Territori