Gioia Tauro: dal 14 al 16 ottobre, la prima edizione del “Rosarno Film Festival – fuori dal ghetto”

Si terrà la prossima settimana, dal 14 al 16 ottobre, la prima edizione del “Rosarno Film Festival – fuori dal ghetto”. Un festival sui temi della dignità, dei lavoratori braccianti e del territorio della Piana di Gioia Tauro. Numerosi i cortometraggi che sono stati inviati per partecipare al concorso. Tra questi, ne sono selezionati per il concorso una decina. Elemento caratterizzante della rassegna è la giuria del festival, che sarà composta da lavoratori braccianti. Dopo la proiezione dei corti, che si svolgeranno il 14 e il 15 ottobre nell’auditorium di Rosarno, domenica 16 ottobre, alle 18,30, alla tendopoli di San Ferdinando, per celebrare Thomas Sankara, si terrà un incontro con Blandine Sankara, sorella del leader burkinabè, attivista impegnata sul tema dell’indipendenza alimentare, alla quale recentemente il Comune di Cinquefrondi e Caulonia (Reggio Calabria) hanno concesso la cittadinanza onoraria. Tra i primi personaggi che hanno sostenuto e appoggiato l’iniziativa, anche due registi come Ken Loach, che ha inviato un messaggio al festival, e Andrea Segre, che ha recentemente visitato l’ostello sociale di Rosarno e registrato un video di supporto alla rassegna. “Un festival-laboratorio che parla di riscatto e vuole dimostrare che è possibile costruire pratiche di solidarietà e filiere senza sfruttamento. Non a caso, uno dei soggetti coinvolti nella organizzazione dell’evento, insieme a Mediterranean Hope e Rete delle comunità solidali, è l’associazione Sos Rosarno che, con la cooperativa Mani e terra, è impegnata da quasi un decennio nella promozione di prodotti senza sfruttamento nel territorio della Piana di Gioia Tauro”. Sono le parole di Francesco Piobbichi, operatore di Mediterranean Hope, a cui fanno eco quelle di Giuseppe Pugliese, uno dei fondatori di Sos Rosarno: “Rosarno Film Festival è un piccolo strumento per dare voce a chi non ce l’ha, per rendere protagonista chi nei fatti è parte integrante di questo territorio, del suo tessuto sociale, economico e produttivo, nonostante le aberrazioni delle filiere agricole e dei meccanismi infernali del cosiddetto libero mercato. È un tentativo di dare dignità ai lavoratori stranieri e ad un territorio in difficoltà, con i suoi abitanti e i suoi piccoli produttori, anch’essi stritolati dai padroni del cibo, quindi delle nostre vite. È un modo per invitare le persone, da qualsiasi latitudine del mondo arrivino, a parlarsi, a creare comunità in un contesto dove per vari motivi tutto diventa più complicato”.

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