Custodia del Creato: don Bignami (Cei), “far venir meno la dimensione della cura significa far venir meno la nostra umanità”

“Rilanciare l’impegno a prenderci cura della casa comune richiede responsabilità perché è in gioco la dimensione filiale della vita”. Lo ha sottolineato, oggi pomeriggio, don Bruno Bignami, direttore dell’Ufficio nazionale per i problemi sociali e il lavoro, concludendo il 17° Seminario di studio sulla custodia del Creato sul tema “Per una vita buona, su una terra da risanare: ambiente e salute in tempo di pandemia”, organizzato oggi a Roma dal Tavolo di studio “Custodia del creato”. “Ci sentiamo figli, ma scoprirci figli oggi sembra quasi un problema perché siamo nella società che ha operato la duplice uccisione simbolica: da una parte quella di Dio Padre, dall’altra quella della Terra madre. Questa uccisione simbolica ci fa scoprire paradossalmente orfani”. Non a caso, ha aggiunto, “le ultime due encicliche del Papa pongono l’accento sul ricostruire il rapporto con madre Terra e con Dio Padre, sentendoci figli e fratelli. Hanno così il compito di ricucire una ferita aperta nel passaggio storico che stiamo vivendo”. Per don Bignami, “sentirci figli smonta ogni delirio di onnipotenza e ci ricostituisce partecipi delle relazioni fondamentali con il Creato e con gli altri. In questo c’è una direzione di prospettiva futura per i prossimi anni”. “La crisi ambientale – ha osservato il direttore Cei – ha in sé una crisi antropologica: anche la giornata di oggi ci ha detto che non siamo solo chiamati ad aver cura della Creazione, ma a riscoprire il fatto che ci appartiene la dimensione della cura. Il far venir meno la dimensione della cura significa far venir meno la nostra umanità. Questa è la nostra identità più profonda, attenti, solleciti, accoglienti, ospitali nei confronti della vita. Ciò accade dalle situazioni più fragili e vulnerabili, quelle più povere ed emarginate. Alla fragilità del Creato corrisponde la fragilità dell’uomo e l’umanità l’ha ben compreso in occasione della pandemia, ma il passaggio culturale che ci attende non si limita alla consapevolezza della nostra vulnerabilità, abbiamo bisogno di convertirci alla fraternità. Solo insieme, con scelte condivise, si creano le condizioni per abitare da figli la terra e, mentre ci prendiamo cura del Creato, ci accorgiamo che Dio, tramite il Creato, si prende cura di noi; mentre ci prendiamo cura dei fratelli più fragili, ci rendiamo conto che essi stessi si prendono cura di noi. C’è una cura reciproca che custodisce la salute dell’uomo e delle creature”. Ma “l’inquinamento e il degrado hanno reso invivibili alla salute territori e quartieri: questo è un problema di deficit di cura. Ma scopriamo anche stili di vita che non sono più capaci di salvaguardarci nelle relazioni. Paradossalmente il salutismo che fa seguire le diete più svariate rivela un’umanità ripiegata su di sé. La saggezza antica ci ricorda che prevenire è sempre meglio di curare. C’è un lavoro culturale che ci aspetta nelle nostre comunità cristiane, nelle nostre città per sensibilizzarci al custodire e coltivare la terra”.

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