Covid-19 e Avvento: don Mulas (cappellano Sassari), “accanto ai malati. Come prete non c’è un posto migliore dove vorrei essere”

don Paolo (in arancione) con tutta l'équipe

Esserci sempre. Perché i malati “non hanno bisogno di essere compatiti, ma di sapere che non sono soli, che tu sei lì per loro”. Non ha dubbi don Paolo Mulas, giovane cappellano dell’Azienda ospedaliera universitaria (Aou) di Sassari sotto pressione per l’elevato numero di malati Covid. In un’intervista al Sir spiega: “È peggio ora che la scorsa primavera” ma “come prete non c’è un posto migliore dove vorrei essere”. “L’altra notte alle 2:30 un paziente aveva paura di essere intubato. Mi ha chiesto di rimanere con lui fino a quel momento e ci sono stato. È importante esserci, entrare nel dolore e nella paura dei malati e prendersene cura con amore”, prosegue.
“È peggio ora che in a marzo: la situazione allora, per quanto seria, era abbastanza gestibile; oggi invece abbiamo oltre 150 positivi ricoverati”. Nei giorni scorsi al Pronto soccorso è stata allestita una nuova ala perché la settimana precedente ci sono state 56 persone in attesa di ricovero, alcune delle quali hanno dovuto aspettare due o tre giorni. Insomma, “quando arrivano in reparto i pazienti sono già provati. Inoltre, rispetto alla prima ondata hanno una maggiore consapevolezza della malattia e molta paura della solitudine e delle morte. È come se si sentissero soffocare da un cerchio che si stringe sempre più intorno a loro”.
Ma anche “il personale è al limite, soprattutto nelle terapie intensive dove il tasso di mortalità è dell’80%”. Inoltre medici e infermieri avvertono che è venuta meno la solidarietà da parte dell’opinione pubblica: “Hanno bisogno di sentirsi appoggiati e sostenuti; non si sentono eroi ma professionisti che fanno con impegno e dedizione il loro lavoro”.

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