Carcere: don Grimaldi (ispettore generale), “i cappellani siano per i detenuti i medici che curano le ferite”

“Soprattutto in questo momento di grande solitudine e di abbandono nel quale i ristretti vivono l’ansia per il domani e portano nel cuore l’attesa del miracolo di una presta liberazione, nel messaggio di misericordia di Papa Francesco si scorge un chiaro appello rivolto anche a noi che siamo fuori dalle mura delle carceri, a volte più prigionieri degli altri, affinché siamo chiamati a non giudicare, ma a vedere, anche nell’uomo che ha commesso gravi reati, l’immagine di Cristo” Lo sottolinea oggi l’ispettore generale dei cappellani nelle carceri italiane, don Raffaele Grimaldi commentando le parole di ieri di Papa Francesco all’udienza generale dedicate al mondo del carcere e alle famiglie dei detenuti. Ringraziando il Santo Padre a nome di cappellani, operatori e agenti della Penitenziaria, don Grimaldi evidenzia: “Dio non solo è paziente con coloro che sono dietro le sbarre, ma lo è anche con noi. Perciò, siamo chiamati a non dimenticare che siamo tutti peccatori e non va puntato il dito per giudicare l’altro. Possiamo ritenerci fortunati dinanzi al giudizio dell’opinione pubblica quando i nostri peccati non vengono alla luce. Ma la legge del Vangelo vale per gli uomini di tutti i tempi: ‘Chi è senza peccato scagli la prima pietra’”.
Sul reinserimento sociale, prosegue l’ispettore generale, “parlando di comunità di recupero, il Papa ci ha indicato la strada per donare un orizzonte di speranza a coloro che desiderano ritornare nella comunità civile. Comunità, case famiglia, dove i detenuti possano ritrovare l’affetto di persone, di parenti e amici che li accolgono e li indirizzano verso un vero cammino di rinascita”. Di qui l’invito a “tendere una mano, dare fiducia a chi ha sbagliato, essere comunità accoglienti, avere il coraggio di difendere chi è caduto nella trappola del male, per non vedere nella persona che è in carcere, solo il male, solo gli errori commessi”. Don Grimaldi aggiunge: “La nostra società perbene deve avere un cuore misericordioso, come lo è la madre del carcerato che visita e ama il proprio figlio che ha sbagliato e si è macchiato di gravi reati ricoprendo loro volto di ‘vergogna’. Gli uomini e le donne che hanno commesso una colpa, a volte sepolti dall’indifferenza degli altri, hanno bisogno di essere incoraggiati per rinascere”.
Ricordando le storie di rinascita di cui sono testimoni i cappellani, il sacerdote conclude: “Per le persone rinchiuse dietro le sbarre per i loro errori commessi, abbandonate al loro destino, siamo chiamati a essere autentici medici che sappiano curare le ferite e che offrano occasioni di accoglienza e di recupero”.

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