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Covid-19 e Avvento. Don Paolo Mulas (cappellano a Sassari): “Accanto ai malati bisognosi di cure e d’amore come il Dio che si fa neonato per noi”

Esserci sempre. Perché i malati "non hanno bisogno di essere compatiti, ma di sapere che non sono soli, che tu sei lì per loro". Non ha dubbi il giovane cappellano dell'Azienda ospedaliera universitaria di Sassari sotto pressione per l'elevato numero di malati Covid. "È peggio adesso che non la scorsa primavera" ma "come prete non c'è un posto migliore dove vorrei essere". Viaggio nel reparto Covid dove la cassaforte è diventata un tabernacolo e una giovane paziente ha appena fatto la Prima Comunione

don Paolo (in arancione) con tutta l'équipe

“L’altra notte alle 2:30 un paziente aveva paura di essere intubato. Mi ha chiesto di rimanere con lui fino a quel momento e ci sono stato. E’ importante esserci, entrare nel dolore e nella paura dei malati e prendersene cura con amore”. Don Paolo Mulas, 33 anni, da quasi tre è il cappellano dell’Azienda ospedaliera universitaria (Aou) di Sassari e ci racconta l’inizio di un Avvento diverso dagli altri in questa seconda ondata della pandemia.

“E’ importante esserci – sottolinea -: sia per i pazienti sia per gli operatori sanitari”. Anche per questi ultimi perché don Paolo, a differenza della scorsa primavera, ora avverte in loro un senso di scoraggiamento: “E’ peggio ora che in a marzo: la situazione allora, per quanto seria, era abbastanza gestibile; oggi invece abbiamo oltre 150 positivi ricoverati”. Inoltre, “quando arrivano in reparto i pazienti sono molto provati. Rispetto alla prima ondata hanno una maggiore consapevolezza della malattia, e molta paura della solitudine e delle morte.

E’ come se si sentissero soffocare da un cerchio che si stringe sempre più intorno a loro”.

Ma anche “il personale è al limite, soprattutto nelle terapie intensive. Inoltre, secondo don Paolo, medici e infermieri avvertono venuta meno la solidarietà da parte dell’opinione pubblica: “Gli operatori sanitari hanno bisogno di sentirsi appoggiati e sostenuti; non si sentono eroi ma professionisti che fanno con impegno e dedizione il loro lavoro. Percepisco che non avvertono più il riconoscimento da parte della gente che li ha sostenuti nei mesi scorsi”. E così si dedica anche a loro: “Mi cercano per parlare. Tutti i giorni faccio con loro sei-sette colloqui”.

“Come prete, non c’è un posto migliore dove vorrei essere ora”,

dice sentendosi parte dell’équipe: “Stiamo approfondendo insieme il percorso dal concetto di guarigione al prendersi cura, coscienti che non tutti i malati potranno guarire, ma tutti devono sentire che non sono soli, che ci prendiamo cura di loro”. E occorre anche “dare un senso all’impotenza di chi, nonostante abbia fatto di tutto, si sente sconfitto di fronte alla morte di un paziente”. Con il permesso del vescovo e con le opportune misure di sicurezza, don Paolo porta la Comunione nei reparti: “Negli infettivi – racconta –

abbiamo trasformato una cassaforte in tabernacolo dove conservare le ostie.

Per chi lo desidera, ricevere la Comunione tutti i giorni è una grande consolazione”. Don Paolo, che ormai vive in ospedale – “il mio piccolo ufficio di 20 metri quadri è diventato anche studio e camera da letto” – ascolta i pazienti e li sostiene, ma non solo dal punto di vista spirituale. “Porto loro i giornali, e quando i parenti non possono uscire vado nelle loro case a prendere i ricambi o ciò di cui hanno bisogno”. E il prendersi cura riguarda anche le famiglie che gli dicono: “Don, gli dia una carezza da parte nostra, gli dica che tutti a casa lo stiamo aspettando”, o alle quali è spesso lui a comunicare il decesso del congiunto. E’ un sacerdote molto pratico: “Chi soffre ha bisogno di gesti. La fede si esprime attraverso la preghiera e i sacramenti, ma anche attraverso la concretezza delle nostre mani e delle nostre azioni”. Sabato scorso, celebrando come ogni settimana la messa nel reparto di ostetricia, ha detto: “Oggi si apre l’Avvento e mai come in questa situazione stiamo imparando che il Natale è concretezza, è prendersi cura di un Dio che si fa neonato per noi e ha bisogno delle nostre cure, del nostro amore, delle nostre mani. Come questi nostri pazienti”. E l’amore per i malati diventa catechesi: una ragazza ricoverata per Covid ha chiesto di fare in reparto la Prima Comunione che non aveva mai fatto. “L’ha ricevuta ieri, alla presenza anche del personale, ed è stato per tutti noi un momento di grande commozione”.

Che cosa sperano i pazienti? “Ovviamente di essere a casa per le feste. La preoccupazione maggiore è quella di passare il Natale qui, lontani dalle famiglie. Stiamo ragionando su che cosa potremmo organizzare. Attraverso la pagina Facebook della Cappellania ospedaliera stiamo pensando a dei momenti di preghiera”. Ma in ospedale non ci sono solo cattolici, e come assistente spirituale don Paolo si occupa di tutti. Gli capita di chiamare l’imam per i pazienti musulmani o di metterli in contatto con le loro comunità di riferimento. Oppure di pregare insieme precisando: “Ognuno prega come sa, come crede, come desidera”. “Non devo fare proseliti – assicura -. In reparto voglio portare sollievo, gioia, speranza. A loro non importa che io sia un prete cattolico; interessa solo che io sia lì per loro”.

Pensando al Natale don Paolo esprime una duplice speranza. Anzitutto che i pazienti costretti a trascorrerlo in ospedale lo vivano con la maggiore serenità possibile: “Noi porteremo tutto il nostro affetto e la nostra vicinanza perché sia così – assicura -. Nei reparti io scherzo molto, faccio battute. Potrebbe sembrare fuori luogo ma cerco di trasmettere gioia ai pazienti e al personale. A volte ci sono malati che non vogliono mettersi il casco. Qualche giorno fa mi hanno chiamato in pneumologia: ‘Don, è molto spaventato, vieni tu che sai rasserenare tutti’. Mi ha chiesto di tenergli la mano. L’altra notte alle 2:30 gli infettivi c’era un paziente che aveva paura di essere intubato e mi ha chiesto di rimanere con lui fino a quel momento. I malati non hanno bisogno di essere compatiti ma di sapere che non sono soli”. Ma il pensiero va anche al personale: “Spero possano avvertire di nuovo il sostegno e il riconoscimento della gente e che quando calerà la tensione non ci si dimentichi di tutto quello che hanno fatto e che stanno continuando a fare”.

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