Diocesi: Portalecce, intervista a card. Semeraro per 50° sacerdozio. “La ‘sinodalità’ non è anzitutto un fare, ma un modo di essere e di vivere”

“Sono grato al Signore per l’esperienza episcopale ad Oria: fu la mia prima palestra e mi sentii confortato da tanti sacerdoti che erano pure stati miei compagni di seminario ed alunni. Avevo bisogno di imparare una ‘arte pastorale'”. Il card. Marcello Semeraro, prefetto della Congregazione delle cause dei santi, lo dice in un’intervista a “Portalecce”, in occasione del suo giubileo sacerdotale. Poi il trasferimento alla Chiesa di Albano, che “è stata per diciassette anni mio campo di lavoro”. “Tutto quello che sono riuscito a fare, però, è stato possibile per la collaborazione intelligente e generosa di tante persone, presbiteri, diaconi, religiosi/e, fedeli laici. I loro nomi sono nel mio cuore e nella mia preghiera”, confida il porporato. A proposito di laici, dice: “La figura completa del fedele laico è per me ancora quella di Lazzati”. E aggiunge: “Per me l’apporto del laicato è stato decisivo, soprattutto a partire dall’esperienza del convegno della Chiesa italiana a Verona e quindi con la visita pastorale (2010 al 2014). Da lì ha preso avvio lo stile di pastorale generativa che oggi, per la Chiesa di Albano, risulta essere un anticipo e un tirocinio per il ‘cammino sinodale’ incoraggiato da Francesco e avviato in questi giorni”. Secondo il cardinale, “il ‘laicato’ è promosso davvero solo in una ecclesiologia integrale e integrante. In Evangelii gaudium Francesco ha configurato una Chiesa in uscita, come comunità di discepoli missionari che prendono l’iniziativa, che si coinvolgono, che accompagnano, che fruttificano e festeggiano nella liturgia eucaristica”.
Interpellato sulla nuova fase sinodale voluta da Papa Francesco, il card. Semeraro afferma: “Sono convinto che il processo indicato dal Papa esiga anzitutto la convinzione che la ‘sinodalità’ non è anzitutto un fare, ma un modo di essere e di vivere. Per ricorrere ad una categoria teologica molto corrente direi che si tratta anzitutto di stile. Lo stile non è affatto la moda; non è esteriore, ma forza che scaturisce da convinzioni interiori e informa modi di agire e di vivere. È attuazione del mistero della comunione ecclesiale, che predilige il discernimento personale, anzitutto e, quindi, messo in comune”. In secondo luogo, “la sinodalità è l’attivazione di comportamenti e iniziative sinodali nei livelli distinti e comunicanti di comunità parrocchiale, Chiese particolari e Chiese locali”. Il terzo livello è “quello delle delibere e delle decisioni che spettano al vescovo nella diocesi, alle Conferenze episcopali”, “al Synodus Episcoporum come collaborazione al Papa e altre realtà che hanno diretto legame col Successore di Pietro. In ogni caso il processo sinodale è un processo sempre in atto, da compiersi con umiltà e fraternità”.

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