Diocesi: mons. Caiazzo (Matera), “per servire bisogna scendere dal podio e stare con gli altri, allo stesso livello”

“Il servizio di cui parla Gesù non è il frutto di una vittoria ottenuta dopo aver gareggiato considerando l’altro un avversario, ma esattamente il contrario: per servire bisogna scendere dal podio e stare con gli altri, allo stesso livello. L’altro non è avversario ma persona da amare”. Lo ha affermato ieri l’arcivescovo di Matera-Irsina, mons. Antonio Giuseppe Caiazzo, nell’omelia che ha pronunciato durante la messa trasmessa su Raiuno dalla concattedrale di Irsina, al termine delle celebrazioni per la festa patronale di Santa Eufemia.
Commentando il brano del Vangelo proposto dalla liturgia, l’arcivescovo ha sottolineato che “ciò che Gesù vuol far comprendere ai suoi è che la sua morte non è altro che la conseguenza del mandato ricevuto dal Padre realizzato attraverso la missione di incontrare, liberare, guarire tutti coloro che oggi potremmo chiamare gli esclusi del suo tempo”. “I discepoli sono chiamati a seguire il maestro in tutto, fino in fondo”, ha proseguito Caiazzo, aggiungendo che però “non capiscono o non vogliono capire per un motivo molto semplice: la sofferenza non collima con l’idea che hanno del Messia quale liberatore dalla tirannia del nemico, del potere, dell’ingiustizia”. “Invece – ha evidenziato – Gesù indica la strada maestra che passa attraverso il servizio, con l’offerta della propria vita, mentre i discepoli continuano ad essere ciechi. Non basta vivere tanti anni accanto a Gesù per essere realmente suoi discepoli, così come non basta frequentare la comunità parrocchiale, svolgere qualche ministero, far parte di un gruppo o di un cammino di fede per vedere le cose come il Maestro”. “Si può essere bravi, ferventi e devoti fedeli, santi vescovi, preti, diaconi, religiose, ma con una visione della rivelazione del progetto di Dio per il bene dell’umanità intera molto ristretta, limitata, tesa ad eludere l’insegnamento di Cristo e della Chiesa, anzi, spesso fautrice di attacchi dannosi e feroci”, ha ammonito l’arcivescovo, ribadendo che “Gesù vuole far capire ai suoi più intimi che, in quel tempo come oggi, la croce è il segno della nostra salvezza”.

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