Messa in Coena Domini: card. Betori (Firenze), “Eucarestia presenza reale. Uniti a Cristo diventiamo una cosa sola tra noi”

“Gesù, nell’ultima cena con i Dodici prima della sua Passione, compie due azioni: la lavanda dei piedi e l’istituzione dell’Eucaristia. La lavanda dei piedi è un gesto simbolico che, unito alla parola, si propone come un insegnamento. Chinandosi ai piedi dei discepoli, per fare ciò che era compito degli schiavi verso i propri padroni, Gesù rivela il modo in cui egli vive il suo essere Messia, come il servo venuto a consegnarsi all’umanità”. Lo ha affermato il card. Giuseppe Betori nella messa in Coena Domini presieduta nella cattedrale di Firenze. “Nella lavanda dei piedi non abbiamo soltanto la rivelazione di chi è davvero Gesù, ma anche un’indicazione di vita per noi. Gesù stesso lo dichiara: ‘Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri’”. Questo, ha aggiunto il porporato, “è il volto della comunione che nasce dal seguire Gesù: una fraternità che scaturisce dal dono della vita”. Betori ha poi aggiunto: “Veniamo all’altra azione che Gesù compie nell’ultima sua cena prima della morte, l’istituzione dell’Eucaristia. Questa non è un’azione simbolica, ma un atto in cui parole e gesti danno vita a una realtà. L’Eucaristia non è sentire Gesù vicino a noi, presente al nostro cuore. L’Eucaristia è una presenza reale: pane e vino fatti Corpo e Sangue di Cristo per diventare nostro cibo, così che noi diventiamo lui e, uniti a lui e da lui, diventiamo una cosa sola tra noi”.
“Vorremmo che fosse più valorizzata la sofferenza che abita in questi giorni il cuore dei credenti, ai quali è difficile comprendere come sia reso difficile, praticamente impossibile, l’accesso all’Eucaristia, ritenuto da alcuni, con troppa disinvoltura, un bene non essenziale della vita. Sarebbe stato apprezzato un tentativo in più per non negare qualcosa di essenziale per i cristiani, fatte salve le doverose precauzioni dettate per l’accesso ai beni primari materiali”. Ma “non è questo il momento del lamento. Abbiamo più volte ripetuto che non ci sottraiamo come cittadini a disposizioni con cui si cerca di limitare l’espandersi del contagio virale… Alcuni hanno chiesto ai vescovi di disattendere norme concordate tra le autorità religiose e civili per il bene comune. Sono voci che esprimono istanze spirituali che rispetto, ma che esorto a vivere proprio nell’orizzonte comunitario di cui si rivendica la visibilità. Non vorrei però che istanze di questo genere scaturissero da un’errata concezione della dimensione comunitaria dall’azione liturgica, quasi che il fondamento del culto sia l’assemblea e non l’azione di Dio in essa e per essa. Non sono annotazioni marginali, perché ne va della concezione della salvezza, che scaturisce sempre e solo dalla grazia, pur prendendo forma nella vita personale e comunitaria”.

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