Messa in Coena Domini: card. Bagnasco (Genova), “in questi giorni lasciamo che Gesù ci parli, gridando a Lui il desiderio di bene e luce”

“Celebriamo la messa in Coena Domini a porte chiuse ma a cuore aperto: voi, cari fedeli, sapete che siete qui accanto a noi, e che – attraverso Cristo – vi porto davanti a Dio”. Lo ha affermato il card. Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova, nell’omelia della messa in Coena Domini. “Oggi, agli occhi della fede appare Gesù a tavola con i Dodici: come tutto il popolo, celebra il passaggio del Signore nella notte della liberazione. Il cerimoniale è preciso, e ogni elemento ha un valore simbolico che riguarda gli antichi ebrei, ma che giunge anche a noi: le erbe amare ricordano a loro la sofferenza della schiavitù, e a noi che l’esistenza ha sempre le sue amarezze; il pane azzimo richiama la fretta della fuga, e a noi la fugacità del tempo che non dobbiamo sprecare. Infine, l’agnello pasquale ricordava all’antico popolo che era stato salvato mediante il sangue sulle porte delle loro case. In realtà, prefigura il nuovo agnello immolato – Gesù – che cancella i peccati del mondo con il suo sangue”. L’ultima cena “non è dunque una cena tra amici affidata alla creatività dei presenti, bensì una liturgia puntuale. Dio, però, irrompe in questo rito e lo eleva da simbolo a realtà: prende il pane e il vino e ne fa il sacramento della sua reale presenza e del suo sacrificio. Egli anticipa così ciò che accadrà sulla croce in modo visibile e cruento: si fa dono, e fa ritornare l’uomo alla intimità divina liberandolo dall’alienazione del peccato”.
“Anche l’uomo moderno sente il segreto bisogno di incontrare il mistero più grande di lui, di inginocchiarsi davanti a qualcuno che non lo umilia né schiaccia. Desidera ascoltare, da una voce maestosa e paterna, vicinissima e sovrana, la parola del perdono”. Il card. Bagnasco ha aggiunto poco oltre: “In questi giorni, lasciamo che Gesù ci parli, accogliamo in ginocchio la sua voce, chiniamo il capo riconoscendo debolezza, fragilità, peccato, ma anche gridando a Lui il desiderio di bene e di luce. Allora, chiusi nelle nostre dimore, soli o insieme ai nostri cari, avremo fatto della forzata distanza la porta d’ingresso nella stanza più intima di Gesù, nel mistero più profondo del suo amore per noi”.

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