Venerdì Santo: p. Pasolini, “non è la forza a salvare il mondo, ma la debolezza di un amore che non trattiene nulla”

“Non sono l’autonomia o le grandi imprese a dare senso alla vita, ma la capacità di trasformare il limite in occasione di dono”. Lo ha spiegato padre Roberto Pasolini, predicatore della Casa pontificia, nell’omelia della celebrazione del Signore, presieduta nella basilica di San Pietro dal card. Claudio Gugerotti, prefetto del Dicastero per le chiese orientali. “Gesù confessa il compimento della sua — e della nostra — umanità nel momento in cui, spogliato di tutto, sceglie di donarci interamente la sua vita e il suo Spirito”, il commento alle parole di Gesù al culmine della Passione: “Tutto è compiuto”, che simboleggiano “non una resa passiva, ma un atto di suprema libertà, che accetta la debolezza come luogo in cui l’amore diventa pieno”. In questo gesto, per Pasolini, “Gesù ci rivela che non è la forza a salvare il mondo, ma la debolezza di un amore che non trattiene nulla”. “Il tempo in cui viviamo, segnato dal mito della prestazione e sedotto dall’idolo dell’individualismo, fatica a riconoscere i momenti di sconfitta o di passività come luoghi possibili di compimento”, ha attualizzato il religioso: “Quando la croce ci toglie il fiato e ci immobilizza, tendiamo a sentirci sbagliati, inadeguati e fuori posto. Allora resistiamo, stringiamo i denti, nella speranza di uscire in fretta da una condizione avvertita solo come una prigione”. Le ultime parole di Gesù crocifisso, invece, ci offrono un’altra interpretazione: “ci mostrano quanta vita possa sgorgare da quei momenti in cui, non restando più nulla da fare, in realtà resta la cosa più bella da compiere: donare finalmente noi stessi”.

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