Dialogo: Abenavoli (Emergenza Sorrisi), “durante le missioni incontriamo persone di tutte le religioni, si crea senso di fratellanza che dovrebbe accompagnare tutti”

Dialogo interreligioso come ponte tra comunità e per chiunque faccia della relazione una scelta di pace, di aiuto al prossimo, di vita e di significato da dare all’esistenza. È stata questa la riflessione al centro del convegno moderato da Piero Damosso, organizzato oggi, presso la sala capitolare presso il chiostro del convento di Santa Maria Sopra Minerva, a Roma, in occasione del 15° anno di attività di Emergenza Sorrisi dal titolo “Un’unica fede nella missione. Dialogo interreligioso sull’aiuto al prossimo”.
Fabio Massimo Abenavoli, presidente di Emergenza Sorrisi, ha raccontato l’impegno dell’Associazione per portare cure specialistiche in oltre 20 Paesi del mondo. “Durante le missioni incontriamo fratelli di tutte le religioni e il dialogo è di estrema importanza. Me ne rendo conto ancora di più quando, ritornando nei Paesi dove operiamo, ci abbracciamo con quel senso di fratellanza che dovrebbe accompagnare ogni uomo e persona di buon senso”. Una fratellanza, un senso di vicinanza e unità su cui si fonda anche la professione medica come hanno sottolineato Cristina Patrizi e Stefano De Lillo in rappresentanza dell’Ordine dei medici di Roma. Indipendentemente dalla professione occorre “ricordarsi di fare le cose da uomo lavorando sui punti che uniscono e non in quelli che dividono”, ha rimarcato Foad Aodi, presidente di Amsi-Associazione medici stranieri in Italia. Per un dialogo interreligioso capace di trasformarsi in azione c’è bisogno di concretezza, come ha sottolineato il rabbino capo di Roma, rav Riccardo di Segni: “Si parla tanto di dialogo tra religioni e di obiettivi comuni, ma quando si va sul concreto si fa difficoltà. Il tema della solidarietà dell’aiutare chi è in situazioni disagiate è uno dei pilastri della fede ebraica e per questo dobbiamo portare avanti un’unica missione nella diversità della fede”.
Per Stefano Bettera, vicepresidente dell’Unione buddhista europea, occorre domandarsi in quale mondo vogliamo vivere e che tipo di paradigma umano vogliamo costruire: “Le grandi tradizioni religiose possono tornare a dire qualcosa di significativo nella costruzione di un nuovo paradigma della società. Per farlo occorre riportare al centro la cura che richiede un approccio di partecipazione a quello che è il destino delle altre persone e recuperare la dimensione del dialogo e dell’amicizia su cui costruire una relazione profonda”. “La generosità e la cura verso chi è in difficoltà sono valori universali che le religioni promuovono da millenni – ha dichiarato El Refaey Issa, imam della grande moschea di Roma –. Dobbiamo immaginare un mondo in cui le differenze religiose non siano un ostacolo, ma un ponte per lavorare insieme per un bene comune. Con la diversità possiamo trovare la forza per rendere il mondo un luogo migliore per tutti”.

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