Fuga dai licei: Affinati, “se diamo la medaglia al vincitore, chiediamoci cosa ne faremo di chi non è riuscito a conquistarla”

“Se gli scolari dicono di sentire un’eccessiva pressione da parte degli insegnanti qualcosa non funziona, dal momento che l’aula non dovrebbe essere percepita come un campo di gara in cui vince il più forte, bensì come un luogo dove si realizzano imprese conoscitive da compiere nella fiducia reciproca”. Ad affermarlo in un’intervista al Sir è lo scrittore romano Eraldo Affinati, fondatore con la moglie della scuola Penny Wirton per l’insegnamento gratuito della lingua italiana agli immigrati, commentando l’allarme “fuga dai licei” che coinvolge anzitutto il blasonato classico Berchet di Milano ma anche altri licei di Bologna e Genova. I ragazzi, insomma, cambiano scuola ad anno in corso. Al Berchet addirittura 507 studenti (sul totale di 906) hanno inviato una lettera-petizione a docenti e preside, denunciando “malessere psicologico” causato da “approcci inadeguati e metodi oppressivi”. “Oggi – sostiene Affinati – tendiamo a rimuovere il fallimento: alla prima difficoltà desistiamo, mentre in realtà l’adolescenza dovrebbe essere per sua natura la stagione in cui ci mettiamo alla prova. Non bisognerebbe drammatizzare l’esito negativo”. In ogni caso, “nel momento in cui assegniamo la medaglia al vincitore, ci dobbiamo chiedere cosa ne faremo di tutti gli altri che non sono riusciti a conquistarla”. Per il docente bisogna inoltre “conoscere chi abbiamo di fronte, quindi è necessario mettersi in gioco, anche assumendo dei rischi, in modo da uscire dalla nostra zona di sicurezza, mostrandoci per quel che siamo”, e poi “non dovremmo mai dimenticare le stazioni di partenza di ognuno, premiando i movimenti registrati prima ancora dei traguardi raggiunti”.

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