Processo in Vaticano: il fratello del cardinale Becciu si rifiuta di presentarsi in aula

Il fratello del cardinale Angelo Becciu, Antonino, non deporrà in aula come testimone al processo in corso in Vaticano per gli investimenti finanziari della Segreteria di Stato a Londra. A renderlo noto, durante l’udienza odierna nell’Aula polifunzionale dei Musei Vaticani, è stato il presidente del Tribunale vaticano, Giuseppe Pignatone. Oggi, infatti, Antonino Becciu, titolare della Cooperativa Spes, avrebbe dovuto presentarsi in aula come testimone, insieme a don Mario Curzu, direttore della Caritas di Ozieri, ma come ha riferito Pignatone ha inviato una comunicazione via mail nella quale spiega che non si presenterà nel dibattimento in corso, in quanto – secondo quanto dispone l’art. 398 del codice di procedura penale vaticano, che è quello italiano del 1913 – intende avvalersi della facoltà di non rispondere, essendo uno “stretto congiunto” dell’imputato. Don Curzu, invece, non ha fatto sapere nulla, e insieme ad altri testimoni che ancora mancano all’appello è stato rimandato dal presidente Pignatone all’udienza dell’11 maggio. “Come in Parlamento, c’è la prima chiama, la seconda chiama e dopodiché…”, ha commentato scherzosamente Pignatone. E a proposito del rifiuto di Antonino Becciu di presentarsi come teste ha chiosato: “Chiudiamo così questo tormentato capitolo”. Oggi, nella 55ma udienza, sono stati ascoltati tre testimoni. Il primo è stato Luigi Rossi, citato dalla difesa di mons. Carlino, che rispondendo domande dell’avvocato Mondello, difensore di Carlino, ha confermato che il 1° maggio 2019 quest’ultimo era con lui a Caserta: “Lo sono andato a prendere quanto è arrivato, poi siamo stato a pranzo dalle suore fino alle 15 e poi abbiamo visto la partita del Lecce a casa mia”. L’avvocato Mondello ha allegato anche una copia delle chat che i due si sono scambiati, e Rossi le ha confermate. Il secondo testimone è stato Terry Keeley, collaboratore del gruppo WRM di Raffaele Mincione dal settembre 2016 al giugno 2019. L’avvocato Caiazza, che difende Micione, gli ha chiesto se si fosse occupato del Palazzo di Londra: “Non direttamente, mi occupavo di contabilità”. Dopo l’acquisizione dell’ immobile da parte della Santa Sede, ha detto però Keeley, ha avuto “contatti con potenziali investitori internazionali” interessati all’acquisto del Palazzo di Londra, che lo avevano a sua volta contattato tramite un broker di sua conoscenza. “Ci sono state diverse manifestazioni di interesse” sull’immobile di Sloane Avenue, ma l’unica pervenuta per iscritto e accompagnata da un’offerta – ha riferito Keeley – è stata quella del gruppo Fentom Whelan, inviata tramite mail nel maggio 2020. L’offerta per il Palazzo di Londra ammontava a 275 milioni di sterline, ma alla manifestazione di interesse “non c’è stata alcuna risposta”, ha affermato il test dichiarando di non conoscerne il motivo. Alla domanda del Promotore di Giustizia, Alessandro Dddi, sulla presenza di investitori per partecipare all’operazione, Keeley ha risposto in forma affermativa – “altrimenti non facevano neanche la proposta” – ma alla richiesta dei nomi degli investitori il teste ha replicato: “Non lo so, non è il mio lavoro. Si è parlato anche di altre manifestazioni di interesse, ma si è trattato solo di colloqui preliminari senza offerte formali: l’unica offerta formalizzata è stata quella di Fenton Whelan, ma anche qui non si è andati oltre”. Terzo e ultimo testimone dell’udienza odierna è stato Giulio Corrado, esperto di ristrutturazioni immobiliari e finanziarie e di analisi di investimenti gestiti da fondi, anche lui collaboratore gruppo WRM di Mincione. “Quando sono arrivato, nel 2015, quello del Palazzo di Sloane Avenue era già un progetto importante”, ha reso noto: “l’investimento era stato fatto nel 2021, a buon mercato per gli acquirenti ma non tanto per chi doveva vendere”. Interpellato dall’avvocato Caiazza sul motivo delle oscillazioni di valore dell’immobile, e in particolare del Nav (Net asset value), Corrado ha spiegato: “Dipendono dalla differenza tra attivi e passivi, e riguardano le potenzialità di sviluppo immobile, influenzate dal progetto sottostante. Quando il Palazzo è stato acquistato c’erano tre piani di uffici, negozi al piano terra e una palestra. Il valore era dato dagli affitti generati da questi uffici, non c’era nessun progetto di sviluppo”. Poi gruppo di Mincione ha pensato di sviluppare un progetto per valorizzare l’immobile anche nel campo residenziale, ma il prestigioso architetto che ha progettato il Palazzo non ha firmato tale proposta. Alla domanda se Mincione avesse investito “personalmente” sul Palazzo di Londra, Corrado ha risposto di aver constatato, da quando è arrivato in WRM, “nel tempo almeno tre investimenti, tramite varie società a lui riconducibili: uno nel 2014 di 10 milioni di euro, e un’altra di 15”. Dopo la Brexit, “inaspettata”, a dire di Corrado “c’è stato un raffreddamento nel campo mobiliare, e la reazione è stata quella di esplorare nuove alternative”. In merito al rapporto con la Segreteria di Stato, Corrado ha dichiarato: “L’investimento è stato più lungo delle aspettative. La loro volontà di liquidazione, di uscita, ci ha sorpreso. Le motivazioni non sono mai state espresse di preciso. Le richieste si sono fatte più pressanti col passare del tempo. Sono stati tempi inusualmente veloci per una transazione di questo tipo. Le motivazioni non sono mai state espresse di preciso: non abbiamo mai capito perché doveva assolutamente chiudersi entro la fine dell’anno, non ci è stato detto. La richiesta Mincione per vendere era di poco superiore al Nav, la trattativa si è chiusa alla fine del 2018 con un valore leggermente inferiore al Nav”. L’udienza di oggi si è chiusa con gli interventi di quattro difese a proposito delle nuove contestazioni di reato che Diddi aveva fatto a diversi imputati nell’ultima udienza: Torzi, Tirabassi, Crasso e Mincione. Tutti i difensori hanno parlato di “indeterminatezza” delle nuove accuse, chiedendo la nullità dei capi di imputazione.

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