Proteste in Perù: almeno sette morti e molte zone paralizzate, attacchi ad aeroporti, università, televisioni. Appello dei vescovi, “violenza non è la soluzione”

“La violenza non è la soluzione alla crisi o alle differenze. Basta violenza, basta morti, il Perù deve essere la nostra priorità!”. È questo l’accorato appello che è arrivato ieri dalla Presidenza della Conferenza episcopale peruviana, che in una nota ha preso posizione sulle proteste violente che hanno caratterizzato le giornate di domenica e di ieri (almeno sette i morti negli scontri), chiedendo al tempo stesso governabilità per il Paese. Se, infatti, le prime ore, che avevano fatto seguito al tentativo di golpe dell’ex presidente Pedro Castillo, al suo arresto e al giuramento come presidente dell’ex vicepresidente Dina Boluarte, erano state caratterizzate dall’assenza di particolari manifestazioni, nel fine settimana è esploso il malcontento, soprattutto, dei cittadini di alcune delle zone periferiche del Paese, quelle che lo scorso anno gli avevano tributato percentuali bulgare in occasione delle presidenziali. Domenica un gruppo di manifestanti ha occupato l’aeroporto di Andahuaylas, nella regione andina meridionale dell’Apurímac, e negli scontri con le forze dell’ordine sono morte due persone. Ieri la protesta si è allargata con blocchi stradali in tutto il Paese e, in serata, il difensore civico della nazione ha confermato che le vittime sono almeno sette (di cui due minori), specificando che ci sono state sia situazioni di repressione delle proteste, sia atti di violenza da parte dei manifestanti. Spesso, tra questi giovanissimi e minori sono mandati in prima fila. Il difensore civico ha anche parlato di uso di armi da fuoco, sia tra la polizia sia tra i manifestanti. Tra i fatti più gravi, da segnalare l’occupazione dell’aeroporto di Arequipa, la maggiore città del sud del Paese e seconda del Perù. In tutto il sud sono sospesi i voli aerei e i treni. A Lima sono state attaccate le sedi di Panamericana Tv e América Tv. A nord, giovani studenti hanno occupato l’Università del Cajamarca, nella stessa regione di origine di Pedro Castillo. Quest’ultimo, dalla sua reclusione, ha fatto arrivare un messaggio scritto di suo pugno, nel quale ribadisce la convocazione di un’Assemblea costituente, afferma di essere stato destituito illegalmente e incoraggia ai suoi a non cadere nel “gioco sporco” delle nuove elezioni. Da sua parte il governo di Boluarte ha dimesso alcuni prefetti dai loro incarichi, mentre si vede la presenza di gruppi organizzati di agitatori che hanno provocato non solo la violenza ma anche delle tragiche morti approfittando la confusione.

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