Rivolte nelle carceri: Melfi, la testimonianza del cappellano e dei volontari

“Sabato pomeriggio, quando mi sono presentato per le confessioni e la celebrazione della messa, mi hanno vietato di entrare. Hanno tenuto in ostaggio alcuni poliziotti, il medico, la psicologa”. A parlare è padre Giuseppe Cappello, cappellano nella casa circondariale di Melfi (Pz), che ha raccontato al Sir la sua esperienza durante la rivolta che si è consumata nei giorni scorsi ed è rientrata dopo circa dieci ore, a differenza di altri istituti di detenzione d’Italia. Anche Eugenio Monico, volontario da dieci anni nel carcere di Melfi, è stato lì sabato. “Sono andato al mattino, per l’appuntamento settimanale con le catechesi sulla Parola e la situazione appariva normale – spiega al Sir –. I detenuti con cui ho parlato erano d’accordo con la limitazione delle visite, per tutelare loro stessi e le famiglie. Mi fa pensare che la rivolta si sia diffusa tanto velocemente in tutta Italia”. La casa circondariale di Melfi è un centro di massima sicurezza e ospita oggi 206 detenuti. “Ciò che vedo è che i detenuti sono trattati con umanità da forze dell’ordine e area trattamentale – riferisce ancora Monico –. Abbiamo fatto iscrivere un ragazzo all’università, ha completato il primo anno e colgo in lui grande voglia di riscatto. Presto dovrebbero partire attività sportive e corsi di scrittura e lettura”. Gli fa eco padre Cappello: “Sono cappellano da pochi mesi ed è il mio primo approccio con il carcere. Un gruppo di ragazzi frequenta assiduamente i sacramenti. Spero, passata l’emergenza sanitaria, di proseguire l’accompagnamento personale, con chi è vicino alla fede ma anche con chi è distante”, conclude.

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