Coronavirus Covid-19: Csi Reggio Calabria, “attenzione ai bambini che vanno nelle sale slot, essendo chiusi oratori e campetti”

“Oratori e campetti chiusi, a Reggio Calabria, alcuni bambini ‘si divertono’ all’interno di sale slot che, invece, rimangono aperte e non sono fonte di contagio”. È la denuncia che arriva dal Csi Reggio Calabria che, attraverso il suo presidente Paolo Cicciù, vuole sensibilizzare un tema poco discusso in questi giorni: la sorte dei ragazzi residente nei quartieri “difficili” delle “città, spesso ostaggio della solitudine o nel peggiore dei casi delle devianze”.
In queste ore “ci stiamo interrogando, secondo coscienza e con forte tensione emotiva, su che fine faranno i ragazzi che vivono i quartieri–ghetto delle nostre città, aree borderline della solitudine urbana dove, spesso e volentieri, il ritrovarsi al campetto era una scialuppa di salvataggio – afferma Paolo Cicciù -. Come Csi, oggi, non possiamo abitare quegli spazi: non possiamo seguire i ragazzi di Arghillà o del Rione Marconi, perché la loro attività sportiva è amatoriale, lontana dall’essere strutturata, protetta, federale. È sbagliato fare la guerra tra poveri, ma ci chiediamo, con ostinata incertezza, se qualcuno si sta ponendo il problema di tutelare lo sport di comunità”.
Cicciù ricorda: “Durante i mesi del lockdown, abbiamo elaborato una proposta di sport di comunità che facesse rivivere i cortili, luoghi cari ai giovani degli anni ‘80 e ‘90. E dopo averlo progettato, lo abbiamo fatto: siamo scesi a giocare. Come? Siamo andati in giro per la provincia di Reggio Calabria, da Locri alla Ciambra di Gioia Tauro. Con semplicità, riproponendo i ‘giochi della nonna’. Facendolo in massima sicurezza, avendo adottato un protocollo nazionale, SafeSport, che mette al primo posto la salute dei ragazzi. Bene, crediamo che la modellizzazione di quella esperienza possa evitare che le strade dei quartieri, specialmente i più difficili, si svuotino andando ad allargare, inesorabilmente, la platea di sale slot e piazze di spaccio”. Insomma, “gli strumenti ci sono, basta cercarli. Ed evitare che, alla fine di questa pandemia, non dovremmo osservare – conclude – un altro disastro epocale: quello giovanile”.

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