Primo maggio: mons. Lambiasi (Rimini), “il lavoro senza la persona finisce per diventare disumano e smarrisce se stesso”

Nei giorni delle celebrazioni per la Festa dei lavoratori, il vescovo di Rimini, mons. Francesco Lambiasi, ha realizzato una serie di riflessioni dedicate al lavoro, al suo rapporto con l’uomo e con l’essere cristiani. Riflessioni, raccolte in forma di lettera, indirizzate a tutte le comunità di fedeli della diocesi riminese. Il tema centrale, su cui mons. Lambiasi focalizza l’attenzione, è quello del rapporto imprescindibile tra lavoro, integrità e dignità umana. “Noi cristiani crediamo che il lavoro non sia un castigo, ma un compito – sottolinea il presule –. Il lavoro è la risposta dell’uomo all’incarico che gli viene affidato dal Creatore. Pertanto il lavoro è una dimensione costitutiva della persona, è una caratteristica propria dell’esistenza umana”. Per questo, non può esistere una logica del lavoro che ignori la dignità e la salvaguardia della persona, senza le quali l’esistenza non può dirsi genuinamente umana. Fondamentale, dunque, riaffermare “una cultura della cura, oggi particolarmente necessaria ed efficace per contrastare il triste fenomeno del sacrificio di vite umane, stroncate sul posto di lavoro”. Sono infatti oltre 1.200 le morti bianche registrate solo nel 2021, cui si aggiungono tutte quelle “ignote”, legate al lavoro sommerso.
“Come cristiani – prosegue mons. Lambiasi – crediamo che il lavoro sia una benedizione, che però può tramutarsi anche in tentazione, se non si permette al lavoratore di restare soggetto libero, mai schiavo, uomo integralmente umano e mai ridotto a forza-lavoro. Persona e lavoro sono due parole che o insieme stanno o insieme cadono. Perché il lavoro senza la persona finisce per diventare disumano e smarrisce se stesso”. Decisivo il ruolo dell’individuo, che deve mantenere un atteggiamento attivo nel tutelare la propria dimensione di lavoratore. “A volte – conclude il vescovo – può verificarsi, per il singolo, il dovere di rifiutare un lavoro disumanizzante, anche se questo si traduce in svantaggio economico. Al lavoro disumano e degradante si deve obiettare in coscienza”.

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